
foto Gianni Lannes
di Gianni Lannes
Una, nessuna e centomila: le conseguenze dei conflitti bellici. Ecco un altro armadio della vergogna Italia-Germania. Questa è un’altra storia di regime con cui fare i conti, ignorata dagli storici e sconosciuta all’opinione pubblica che Giorgia Meloni, Ignazio Benito La Russa, Guido Crosetto e Matteo Salvini intendono mantenere occulta, poiché da mesi non rispondono agli atti parlamentari di sindacato ispettivo, in perfetta assonanza col menefreghismo del governatore delle Marche, tale Acquaroli. Nel 2010 il sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli indirizzò due missive al governo Berlusconi: in cambio ebbe risposte evasive e menzognere da parte del sottosegretario Giuseppe Cossiga.


Andò peggio al suo successore Matteo Ricci, che il 10 gennaio 2015 chiamò invano il ministro della Difesa. Anche a Roma e a Berlino vale il principio giuridico internazionale “chi inquina paga”?

Tutto inizia alla fine dell’Ottocento. Fino ad allora esisteva una ferrovia che costeggiava l’Adriatico, ma che era troppo esposta a eventuali bombardamenti delle navi nemiche austro-ungariche. Fu quindi approvata la realizzazione nell’entroterra di una nuova tratta ferroviaria più sicura. I lavori procedettero a singhiozzo e si arrestarono del tutto con lo scoppio della seconda guerra mondiale. Durante la costruzione di questo tracciato ferroviario furono scavate alcune gallerie: due lunghe oltre 3 chilometri ciascuna, transitano proprio sotto Urbino; una di esse è attualmente utilizzata da Marche Multiservizi (in società con Hera) per una condotta idrica e non si può visitare o esplorare. Incredibile.

Nell’anno 1939, un anno prima della dichiarazione di guerra annunciata da Palazzo Venezia a Roma (10 giugno 1940), Benito Mussolini ordinò di utilizzare queste cavità ferroviarie per la guerra non ancora proclamata: un arsenale segreto di esplosivi speciali, gestito dalla Regia Aeronautica. E così sorse, in un baleno previo esproprio fulmineo dei terreni agricoli, il 14° deposito nazionale di armi chimiche, proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1925, progettato e costruito dalla II Regione Aerea di stanza a Padova.

Da Urbino fino a Verucchio in Valmarecchia si contano ben 4 gallerie per un totale di 10 chilometri sotterranei, imbottiti di esplosivi convenzionali e speciali. La contabilità bellica attesta quanto segue a gennaio del 1944: 908 mila chilogrammi di tritolo, 30 mila bombe da 50 chilogrammi cadauna e ben 100 mila ordigni caricati con aggressivi chimici. Infatti, i documenti ritrovati nell’Archivio di Stato a Pesaro e Urbino, nonché a Londra nei meandri dell’intelligence britannica, non lasciano dubbi.


“Viva chi diserta”: la scritta sui muri di una galleria ferroviaria sotto Urbino racconta la presenza dei militari di guardia. Questo è un luogo sepolto dall’oblìo umano che ancora oggi per le sue dimensioni e per la sua funzione bellica, lascia stupiti. Qui si trovano i vani dove erano alloggiate le micidiali bombe all’iprite C500 T (ognuna conteneva 212 kg di iprite). Nella parte centrale delle gallerie scorrevano i binari in cui passavo il treno bellico.


C’è un documento redatto dall’Università di Ferrara (datato gennaio 1944) sotto incarico del podestà di Urbino. Cosa racconta questo studio? Simula l’esplosione contemporanea, così potente da sconquassare le colline sovrastanti. Potete immaginare che fine avrebbero fatto gli edifici costruiti sopra. Ma in effetti, in questi sotterranei c’è stata più d’una esplosione. Proprio i tedeschi fuggendo via avevano minato e fatto sasltare in aria l’interno delle gallerie; e le tracce delle deflagrazioni si leggono nelle volte dei tunnel.
Ancora nel 1948 si verificò un’esplosione che ha mietuto vittime tra gli operai incaricati di spostare fuori gli ordigni convenzionali. Secondo il Gruppo Speleologico Urbinate in loco non c’è mai stata una bonifica, tant’è che la Benelli Armi non ha ampliato il suo poligono sperimentale nella parte terminale della galleria ferroviaria in direzione della stazione di Urbino.

Ma c’è di più. Nel dicembre del 1943 le truppe germaniche se ne impossessano, coadiuvati dalla compagnia militare italiana K (specializzata nella guerra chimica e batteriologica). In un rapporto nazitedesco del Sonderkommando Meyer, non solo c’è la conferma dell’esistenza del gas iprite sotto Urbino (usato a partire dal 1935 durante i bombardamenti della popolazione civile in Etiopia), ma anche di grossi barili pieni di arsenico. Quindi, in effetti, questo luogo era potenzialmente pericolosissimo.
In quel deposito il tenente Meyer riceve da Berlino l’ordine di Hitler di trasferirlo in Germania. L’operazione non riesce. E il segretissimo carico nell’estate del 1944 viene spostato verso l’Adriatico, nel corso di due mesi caricato nottetempo su chiatte e poi gettato in mare, al largo di Pesaro, in sei zone che si estendono a una distanza di 4 miglia verso Fano a sud e Cattolica a nord.

Un rapporto militare inglese attesta che nel 1944 fu dragato il Marecchia sotto Verucchio, alla ricerca delle armi chimiche custodite nella locale galleria. In seguito, precisamente nell’estate del 1984, a seguito di lavori nel fiume, in questo territorio si verificò una sconosciuta malattia che uccise fulmineamente numerose persone (come riporta un articolo giornalistico di Maria Grazia Garattoni – scomparsa prematuramente in giovane età a causa di un tumore – sulle pagine del quotidiano L’Unità e del giornale la Repubblica).

L’inchiesta giornalistica ha fatto emergere l’esistenza di carte ufficiali italo-tedesche che confermano anche i punti esatti dove è stato inabissato questo arsenale proibito. Il riferimento militare di cui si ha cognizione precisa al millimetro è di 1316 tonnellate di iprite e 84 tonnellate di arsenico.

Il 20 novembre 1951 in seguito ad un’interrogazione parlamentare di Enzo Capalozza, l’allora sottosegretario alla Marina Mercantile Tambroni, conferma la presenza di ben sei discariche di armi chimiche dinanzi a Pesaro. I pescatori locali, chiamano “la proibita” questa funestata zona e non ci pescano da oltre mezzo secolo, dopo i tanti incidenti a partire dal 1946 in cui hanno perso la vita e spesso si sono infortunati gli inermi lavoratori del mare. Per la scienza: iprite e arsenico sono sostanze cancerogene.
Oggi, 22 ottobre 2025, quelle armi chimiche sepolte da una coltre di mucillagine fangosa, sono ancora in fondo al mare, ad una profondità che oscilla dai 12 ai 15 metri, ad un soffio dalla costa marchigiana-romagnola. L’ampia area non è mai stata bonificata, con conseguenze catastrofiche per l’ambiente e gli ignari umani, come accertato dall’Unep (Onu). La situazione è ben nota alla Commissione europea e alle autorità italiane che negano l’evidenza.
Dulcis in fundo: il governo Meloni, non risponde agli atti parlamentari ispettivi inerenti il gravissimo caso.
Il docufilm “Il mare invisibile” racconta – con prove e testimonianze – questa storia sconosciuta.
Riferimenti:
Gianni Lannes, Bombe a…mare, Nexus edizioni, Battaglia Terme, 2018.
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