
Kennedy: “Sai che seguiamo molto da vicino la scoperta di qualsiasi sviluppo nucleare nella regione. Questo potrebbe creare una situazione molto pericolosa. Per questo motivo, monitoriamo il vostro sforzo nucleare. Cosa potresti dirmi di questo?”.
Peres: “Posso dirvi molto chiaramente che non introdurremo armi nucleari nella regione, e certamente non saremo i primi”.
Incontro tra il vice ministro della Difesa israeliano Shimon Peres (ideatore del programma nucleare bellico) e il presidente Kennedy alla Casa Bianca il 2 aprile 1963.
(Fonte: Archivi di Stato di Israele, Gruppo di registrazione del ministero degli Esteri, 4326/26).


di Gianni Lannes
Uno scacco matto al mondo può provocare la terza guerra mondiale? Il movente è sotto gli occhi distratti dell’umanità. Con un nobile pretesto Tel Aviv realizza un genocidio (certificato dall’Onu) – con l’aiuto di Trump – e si impadronisce di tutta la Palestina per sfruttare il petrolio marittimo dinanzi a Gaza e realizzare un Canale alternativo a Suez che sfocia nella Striscia.

Gaza rasa al suolo, 70 mila palestinesi assassinati (tra cui oltre 20 mila bambini) e 2 milioni di deportati nel nulla, per consentire al macellaio Netanyahu di avviare la realizzazione del canale Ben Gurion. Non è fantascienza, ma la realtà agghiacciante e butale, tollerata dall’inconcludente Unione europea. Il progetto prende il nome dal primo primo ministro di Israele, il “padre fondatore dello Stato di Israele”, David Ben-Gurion dimessosi il 26 giugno 1963 poiché incalzato dal presidente Kennedy sul costruendo arsenale nucleare di Tel Aviv sostenuto all’epoca da Francia (uranio e plutonio) e Germania Federale (montagne di denaro).

Il macellaio Benjamin Netanyahu (ricercato a livello internazionale per crimini di guerra) ha ripetutamente espresso il suo sostegno all’idea del canale e alla costruzione di una ferrovia ad alta velocità da Eilat a Beersheba. Nel discorso alla Nazioni Unite del 22 settembre 2023, il premier israeliano Netanyahu mostrò una mappa senza la Palestina, denominata “Il nuovo Medio Oriente”. Alla conferenza G20, il presidente Biden, il primo ministro indiano Modi e i leader europei e arabi hanno annunciato piani per un corridoio visionario che attraversi la penisola araba e Israele. Connetterà l’India all’Europa, con linee marittime, ferroviarie, oleodotti e cavi di fibra ottica. Questo corridoio bypasserà i controlli marittimi e renderà meno costosi i trasporti di merci ed energia per oltre 2 miliardi di persone. Vedete come Israele è situato tra Africa, Asia ed Europa”.

Il canale collegherebbe il Golfo di Aqaba (Eilat) nel Mar Rosso con il Mar Mediterraneo e passerebbe attraverso Israele per terminare nella Striscia di Gaza. Si tratta di un vecchia alternativa tutta israeliana al Canale di Suez. Le prime idee sul collegamento tra il Mar Rosso e il Mediterraneo sono apparse a metà del XIX secolo, ad opera degli inglesi che volevano collegare i tre mari: Rosso, Morto e Mediterraneo. Poiché il Mar Morto si trova a 430,5 metri sotto il livello del mare, un’idea del genere non era realizzabile, ma può essere portata avanti in un’altra direzione. Incoraggiati dalla nazionalizzazione di Suez da parte di Nasser, gli americani considerarono l’opzione del canale israeliano, che era il loro fedele alleato in Medio Oriente.
Il primo luglio 1963, H. D. Maccabee del Lawrence Livermore National Laboratory, sotto contratto con il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, terminò di scrivere un memorandum che esplorava la possibilità di utilizzare 520 esplosioni nucleari sotterranee per aiutare a scavare circa 250 chilometri di canali attraverso il deserto del Negev. Il documento è stato classificato come segreto fino al 1993. “Un tale canale sarebbe un’alternativa strategicamente valida all’attuale Canale di Suez e probabilmente contribuirebbe notevolmente allo sviluppo economico dell’area circostante”, si legge nel documento declassificato.

L’idea del Canale di Ben Gurion è tornata d’attualità quando sono stati firmati i cosiddetti “Accordi abramitici” tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Marocco e il Sudan. Il 20 ottobre 2020 la società statale israeliana Europe Asia Pipeline Company (EAPC) e la società emiratina MED-RED Land Bridge hanno siglato un accordo sull’uso dell’oleodotto Eilat-Ashkelon per trasportare il petrolio dal Mar Rosso al Mediterraneo.

Il 2 aprile 2021, Israele ha annunciato che i lavori per il Canale Ben Gurion sarebbero dovuti iniziare entro giugno 2021. Tuttavia, ciò non è avvenuto.

Se si considera il percorso previsto in modo più dettagliato, si può notare che il canale inizia al margine meridionale del Golfo di Aqaba, dalla città portuale di Eilat vicino al confine israelo-giordano, e prosegue attraverso la Valle dell’Arabah per circa 100 chilometri tra le montagne del Negev e gli altopiani giordani. Poi gira a ovest prima del Mar Morto, prosegue attraverso una valle della catena montuosa del Negev e poi gira di nuovo a nord per aggirare la Striscia di Gaza e raggiungere il Mar Mediterraneo nella regione di Ashkelon.

Vantaggi palesi: il Canale Ben-Gurion sarebbe più efficiente del Canale di Suez perché, oltre a poter ospitare un numero maggiore di navi, permetterebbe la navigazione simultanea bidirezionale di grandi navi grazie alla progettazione di due bracci del canale. A differenza del canale di Suez, che si trova lungo coste sabbiose, il canale israeliano avrebbe pareti rocciose che non richiedono quasi nessuna manutenzione. Israele prevede di costruire piccole città, alberghi, ristoranti e caffè lungo il canale. Ogni ramo del canale proposto avrebbe una profondità di 50 metri e una larghezza di circa 200 metri. Sarebbe più profondo di 10 metri rispetto a Suez. Potrebbero passare attraverso il canale navi di 300 metri di lunghezza e 110 metri di larghezza, ovvero le dimensioni delle navi più grandi del mondo. Se realizzato, il Canale di Ben Gurion sarà quasi un terzo più lungo del Canale di Suez, lungo 193,3 km – 292,9 km. La costruzione del canale richiederà 5 anni e coinvolgerà 300.000 ingegneri e tecnici da tutto il mondo. Il costo stimato della costruzione è tra i 16 e i 55 miliardi di dollari. Israele dovrebbe guadagnare 6 miliardi di dollari all’anno. Chiunque controlli il canale, e a quanto pare non può che essere Israele e i suoi alleati (in primis Stati Uniti e Gran Bretagna), avrà un’enorme influenza sulle catene di approvvigionamento internazionali di petrolio, gas, cereali, ma anche sul commercio mondiale in generale.
Il progetto non è mai stato realizzato perché gli israeliani e gli americani sapevano che nessuna nazione araba avrebbe accettato una simile confisca di terra palestinese, che nella Striscia di Gaza era tra le più popolate al mondo. Inoltre, anche se il canale non sarebbe terminato nella Striscia di Gaza, è difficile credere che gli israeliani lo avrebbero costruito vicino a un territorio palestinese nemico come Ashkelon. La distanza di poche decine di chilometri dalla Striscia di Gaza renderebbe il canale molto vulnerabile e soggetto agli attacchi palestinesi con razzi, obici, droni e altri dispositivi. Ecco perché il prerequisito fondamentale per la costruzione del canale è il controllo militare israeliano dell’area di Gaza, dopo la pulizia etnica del popolo autoctono palestinese.
La realizzazione, o almeno l’avvio, di questo progetto potrebbe riscattare Netanyahu dai molti errori commessi durante il suo lungo regno, compresi i fallimenti militari e di intelligence che hanno facilitato l’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas.
Il fattore fondamentale che impediva al progetto di prendere avvio pratico era la presenza fisica dei palestinesi a Gaza. I palestinesi dovrebbero essere espulsi da quell’area o messi sotto stretto controllo, come sta avvenendo in questi giorni. Oltre ai palestinesi, l’ostacolo al canale è rappresentato dal mondo arabo e, più in generale, musulmano. Non c’è dubbio che il tentativo di costruire un canale dal Mar Rosso attraverso Israele fino alle aree di Ashkelon e Gaza potrebbe scatenare una grande guerra in Medio Oriente, perché è difficile credere che gli Stati musulmani non farebbero nulla. Se non altro, l’Iran reagirebbe sicuramente. In definitiva, l’ostacolo al canale è rappresentato dalla Russia, dalla Cina e dai loro partner. I cinesi e i russi non resterebbero a guardare mentre si arreca un danno irreparabile ai BRICS e alla Nuova Via della Seta. Se il canale israeliano prendesse vita e Suez passasse in secondo piano, taglierebbe fuori Mosca e Pechino dal Mar Mediterraneo. Proprio per questi motivi, la costruzione del canale israeliano potrebbe scatenare la Terza Guerra Mondiale.
Già nel corso della crisi del 1956, un memorandum del direttore della CIA Allen Dulles consigliava grande cautela: “È già evidente che il governo israeliano tenterà di sfruttare l’attuale situazione nel Mediterraneo orientale per raggiungere il maggior numero possibile di obiettivi. Sembra altrettanto chiaro che mescolare la questione palestinese con la questione del canale in questo momento non farebbe che complicare ulteriormente entrambe le questioni”.
A rigor di logica fattuale e geopolitica, il brutale attacco israeliano a Gaza è solo una rappresaglia per gli attacchi di Hamas del 7 ottobre? O c’è un piano più sinistro dietro quello che i palestinesi credono essere l’inizio della seconda “Nakba”, una replica della “catastrofe” del 1948 in cui le milizie sioniste invasero la Palestina e cacciarono 750 mila persone dalle loro case?
Un rapporto inequivocabile sui media israeliani ha rafforzato il sospetto che il governo di Netanyahu non abbia agito in base agli avvertimenti del Mossad su un possibile attacco di Hamas, solo per usarlo come pretesto per lanciare la sua “campagna di pulizia di Gaza”.
Se si concretizza, potrebbe alterare le dinamiche del commercio globale rompendo il monopolio sulla principale rotta commerciale tra l’Europa e l’Asia. Un canale alternativo con Israele al timone darebbe anche allo Stato una potenziale importanza economica strategica, secondo il New Arab.
Il canale proposto è quasi un terzo più lungo del Canale di Suez, lungo 193,3 chilometri, che attualmente gestisce circa il 12 per cento del commercio marittimo mondiale.
Yasar Jarrar, direttore di AIG Consulting e professore presso la Hult International Business School, ha affermato che una catena di approvvigionamento indipendente consentirebbe a Israele di avere una minore dipendenza da altri paesi per il cibo, l’energia e le medicine: “Da qui il progetto del Canale Ben Gurion, che collega il Mar Rosso al Mediterraneo e riduce la dipendenza dal Canale di Suez”.
Attenzione: l’Eni (ovvero l’Italia, o meglio il governino Meloni) è stata prontamente diffidata dalle autorità della Palestina. Il Gaza Marine potrebbe portare elettricità e ricchezza nella Striscia e nel resto della Palestina ma il boicottaggio di Israele lo impedisce. Nel 1999 l’Autorità Palestinese concesse una licenza per la ricerca di idrocarburi al British Gas Group e Consolidated Contractors (una società privata palestinese), con rispettivamente il 60% e il 30% delle quote, di cui il Fondo investimenti dell’Autorità detiene una quota pari al 10%.
Per Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), la scoperta del giacimento era un “dono di Dio”. “Ciò fornirà una solida base per la nostra economia, per creare uno Stato indipendente con Gerusalemme santa come capitale”, disse. Furono perforati due pozzi, Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2. Ma dell’uso del gas non c’è mai stato traccia visto che il blocco imposto da Israele, che pretende di averlo a prezzi stracciati, impedisce che Gaza lo sfrutti anche per effettuare esportazioni. Tel Aviv soffriva il fatto di non avere risorse proprie, almeno prima di scoprire il Tamar ed il Leviathan.
C’è un momento più di altri che peggiora la situazione attorno al Gaza Marine. È il 2007 e Hamas prende il potere a Gaza. “Un punto di svolta è stata l’operazione militare israeliana a Gaza nel dicembre 2008”, spiega Mahmoud Elkhafif, funzionario Onu per la Palestina. “In seguito all’operazione, i giacimenti di gas naturale palestinesi furono di fatto posti sotto il controllo israeliano senza riguardo per il diritto internazionale. La questione della sovranità sui giacimenti di gas di Gaza è cruciale. Da un punto di vista legale (…) le riserve di gas appartengono ai Territori palestinesi occupati”.
Sempre l’Onu, nel 2019 pubblica un rapporto dal titolo: “I costi economici dell’occupazione israeliana per il popolo palestinese: il potenziale non realizzato del petrolio e del gas”, e vengono elencanti tutti i benefici economici che avrebbero Cisgiordania e Gaza se si sfruttasse il giacimento.
Nello stesso anno l’Egitto decide di collaborare con Israele e Unione Europea (Italia, Grecia e Cipro) per mettere a sistema i giacimenti nel Mediterraneo orientale, “proteggerli” dalle mire della Turchia, e esportare il gas in eccesso in Europa. Così nasce l’EastMed Forum, di cui fa parte anche l’Autorità palestinese. Il Cairo spera di far ragione Netanyahu ma già due anni più tardi, un nuovo scontro tra Israele e Hamas a Gaza mette in pausa lo sviluppo del Gaza Marine. La guerra israeliana di sterminio in atto ha frenato tutto, nuovamente.
Riferimenti:
https://bengurionarchive.bgu.ac.il/en
https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1955-57v16/d60
https://www.newarab.com/news/what-israels-ben-gurion-canal-plan-and-why-gaza-matters
Gianni Lannes, Israele Olocausto finale?, Pellegrini editore, Cosenza, 10 febbraio 2024.

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