di Gianni Lannes

Armi chimiche sui bassi fondali adriatici delle Marche: 100 mila ordigni imbottiti di iprite e arsenico, ovvero sostanze cancerogene affondate – in sei aree marine a meno di tre miglia nautiche – dai tedeschi nel 1944 dinanzi a Fano, soprattutto Pesaro ma anche Gabicce. E sono ancora in mare. “Non abbiamo evidenze di questa situazione”: sbotta al telefono (venerdi 4 luglio 2025, ore 9:53) con tono seccato e sprezzante al limite dell’arrogante tal Filippo Saltamartini, assessore regionale alla salute nelle Marche, con un passato al ministero dell’Interno. Conta la salute ambientale e umana, oppure gli affari economici legati all’immagine turistica patinata da cartolina illustrata?

Eppure l’esplosiva situazione sempre ben occultata in loco, è emersa per la prima volta ufficialmente il 20 novembre 1951, quando l’onorevole Enzo Capalozza presentò un’interrogazione parlamentare ed ebbe risposta confermativa dal sottosegretario alla Marina Mercantile Tambroni.



Poi nelle legislature successive, soprattutto nell’era berlusconiana quando i neofascisti furono sdoganati dal piduista di Arcore (tessera 1816) in affari con la mafia sicula già dai tempi dell’Edilnord, si moltiplicarono gli atti parlamentari di sindacato ispettivo che riscossero sempre risposte evasive, menzognere o addirittura inesistenti, come infine nell’anno 2010.

Ad appena 12 metri di profondità, ricoperte da uno spesso strato melmoso di poltiglia urticante (spacciata da alcuni utili idioti come “acqua e zucchero”), giace un arsenale di micidiali armi chimiche (che sovente si spiaggiano per la tintarella com’è accaduto a Baia Flaminia e a Fano), inabissate nell’estate del 1944 dal Sonderkommando Meyer.

La situazione è ben nota a livello internazionale: sia l’Unep (Agenzia ambientale dell’Onu) che la Commissione europea al ramo hanno stilato rispettivamente un rapporto sulla gravissima situazione, che espone l’ignara popolazione ad un’esposizione cronica. Peraltro, le testimonianze dirette di tanti pescatori confermano tutto: incidenti, malattie e morte prematura di numerosi lavoratori del mare, a partire dall’esplosione nell’Adriatico del peschereccio Anna di Fano, su cui persero la vita l’8 gennaio 1950 ben 9 pescatori mai ritrovati neanche a pezzi se non per un corpo maciullato, poi indennizzati dal ministero dell’Interno con 55 mila lire a famiglia (come confermano le carte ingiallite depositate nell’Archivio di Stato a Pesaro).

Nel 2010 l’allora sindaco di Pesaro Luca Ceriscioli si è rivolto invano con due missive al governo Berlusconi, mentre nel 2015 il sindaco Matteo Ricci ha scritto al ministro della Difesa, ma a tutt’oggi dal dicastero della guerra non è giunta la benché minima risposta. Comunque, tre lustri fa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (già capo di Stato Maggiore della Difesa e poi presidente del comitato milutare Nato) in veste di ministro della Difesa (governo Dini) ha confermato questa gravissima condizione, attestata anche dai rapporti militari di Germania, Inghilterra e Stati Uniti d’America.

L’attuale “primo cittadino” di Pesaro, Andrea Biancani, il primo ad essere informato in loco, attraverso la sua portavoce Giorgia – di questa inchiesta – nell’autunno del 2024, forse troppo preso dall’inaugurazione di hotel lussuosi e rastrellamento di innocue biciclette in disuso in ambito urbano, si è mostrato totalmente disinteressato e mi ha detto sgarbatamente infastidito al cellulare: “Non rilascio dichiarazioni”. Nel 2017, in Consiglio regionale la mozione 175/16 (che prevedeva la bonifica dei fondali marini) non fu approvata, grazie anche al voto contrario proprio di Biancani.


A Ricci ho chiesto un’intervista per il mio docufilm “Italia un mare di bombe proibite“: mi ha offerto personalmente risposta positiva, ma il suo assistente parlamentare a Strasburgo – Filippo Galeazzi – mi ha chiesto di realizzarla dopo le elezioni regionali, vale a dire a fine settembre 2025.

Il 13 giugno 2025, dopo aver concluso in mare e negli archivi nazionali e internazionali una ricerca mirata, ho informato il governatore uscente Acquaroli, ma dopo oltre tre settimane non ho ricevuto risposta o attenzione. Ieri (4 luglio 2025) ho messo al corrente nei dettagli, anche tutti i consiglieri regionali di minoranza, nonché la segretaria nazionale del Partito democratico Elly Schlein.
Evidentemente al “fratellino” d’Italia locale, alla prova dei fatti non interessa lo stato di salute del mare, e nemmeno quello della popolazione marchigiana, ma soltanto sedersi ancora sul lucroso cadreghino di Ancona. In ogni caso, chi è assiso su una poltrona istituzionale (come nel caso di Acquaroli) ha il dovere di proteggere e salvaguardare la salute ambientale e collettiva; esattamente il contrario del mussoliniano “me ne frego”.
L’anno scorso ho contattato ed informato pure l’ambasciatore tedesco in Italia, Lucas, e così l’allora ministro ecologico della Bundesrepublik Deutschland . Risposte? Pari a zero. Ma c’è un giudice almeno a Berlino? Comunque, vale sempre, ad ogni latitudine globale, il principio giuridico internazionale: “chi inquina paga”.
Riferimenti:
Gianni Lannes, Bombe a…mare, Nexus Edizioni, Battaglia Terme, 2018.
https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/centomila-bombe-sotto-il-mare-0a89baf9
https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/centomila-bombe-sotto-il-mare-0a89baf9
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