
di Gianni Lannes
100 mila bombe sotto il mare: i micidiali esplosivi erano custoditi segretamente in alcune gallerie ferroviarie sotto Urbino per ordine di Mussolini (come attestano i copiosi documenti estratti nell’Archivio di Stato a Pesaro e a Londra nei depositi dell’intelligence militare inglese). Nel dicembre del 1943 le truppe tedesche se ne impossessano ma non riescono a trasferirle a Berlino, nonostante l’ordine perentorio di Hitler. Così, per non farle cadere nelle mani del nemico, col favore delle tenebre le stipano su convogli ferroviari e le trasferiscono a Fano, dove nottetempo le caricano su zatteroni e le affondano ad un soffio dal litorale. Tale operazione segreta dura più di un mese ma non passa inosservata. Dopo la caterva di prove emerse a seguito dell’inchiesta giornalistica sul campo e in mare aperto a partire il 20 novembre 1951 dall’attestazione dell’allora sottosegratario alla Marina Mercantile Tambroni (in risposta all’interrogazione dell’onorevole Enzo Capalozza), mentre il sindaco Biancani invece di ergersi risolutivamente a difesa concreta della salute collettiva, si eclissa e tace ammutolito dopo aver votato in consiglio regionale nel 2017 contro una mozione che prevedeva la bonifica dei pericolosi residuati bellici, anche la Commissione europea Ambiente, dopo l’Unep (agenzia ambientale dell’Onu) conferma la presenza nel mare di Pesaro (inclusa Fano, Gabicce e Cattolica) di un arsenale (abbandonato) di bombe all’iprite e ordigni all’arsenico. Si tratta di sostanze notoriamente cancerogene. L’interrogazione europarlamentare E-002331-16 anche se imprecisa, pone il problema all’attenzione istituzionale, ma Bruxelles se la cava con un’indicazione pilatesca.

“Il grosso di quelle bombe speciali si trova esattamente a 3 miglia nautiche a tramontana dal porto di Pesaro su un basso fondale. Qui sulla spiaggia dove siamo ora, addirittura se ne sono spiaggiate due di quelle grosse (“modello C500T della Regia Aeronantica con una testa di 212 chilogrammi di iprite cadauna”, ndr): una era rotta ma l’altra intera”, conferma adesso in un’intervista filmata anche il vecchio pescatore Marco Zaffini, dopo le rivelazioni di tanti suoi anziani colleghi, a partire da Ivo Magi, Colombo Gaudenzi, Gianni Boni. “Pescavamo in un mare di bombe” mi ha rivelato il centenario Silvio Pensi, lavoratore del mare di Fano, dalla prodigiosa lucidità e straordinaria memoria. Inoltre, perfino, l’ammiraglio Paolo la Rosa, già capo di Stato Maggiore della Marina Militare, nonché ex ministro della Difesa, ha ammesso in risposta ad un atto parlamentare di sindacato ispettivo, la presenza di questa pericolosa insidia. Al contempo, la Capitaneria di Porto a livello locale, pur investita nel 2014 da una delega di indagine giudiziaria da parte del capo della Procura, dopo la circostanziata e documentata denuncia del Comitato Nazionale Bonifica Armi Chimiche a firma di Alessandro Lelli ed Italo Campagnoli, non ha svolto la benché minima indagine in mare o esplorato la rovente situazione.
In effetti il fondale marino interessato dalla discarica di guerra affondata e variamente distribuita in sei aree prospicienti la costa marchigiano-romagnola nell’estate del 1944 dal distaccamento tedesco specializzato nella guerra chimica e batteriologica, a ridosso della Linea Gotica, non supera i 13 metri di profondità. Appare evidente la violazione della Convenzione di Ginevra del 1925 e del Trattato di Parigi del 1993. E vale sempre il principio giuridico “chi inquina paga”. A quando una chiamata congiuntamente in causa delle autorità di Roma e Berlino per questo conclamato danno ambientale su cui tanti nella realtà – turistico-omertosa – di Pesaro e dintorni fanno finta di niente?

Riferimenti:
https://www.europarl.europa.eu/plenary/it/parliamentary-questions.html#sidesForm
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