
(Gaza: immagine satellitare del 14 marzo 2024 – fonte EPA)
di Gianni Lannes
In Palestina l’ennesima carneficina in atto dal 7 ottobre 2023 può essere considerata a tutti gli effetti pulizia etnica? Dopo oltre 50 mila persone ammazzate (in prevalenza civili), di cui 20 mila bambini, il termine più appropriato è genocidio o massacro?
Il vocabolario della lingua italiana “Devoto-Oli” alla voce genocidio indica: “metodica distruzione di un gruppo etnico, compiuta attraverso lo sterminio degli individui e l’annullamento dei valori e dei documenti culturali”.
Tabula rasa: ormai dallo spazio, Gaza è stata trasformata per ordine di Netanyahu in una carnaio di sangue, fumo e polvere di morte. Le immagini satellitari aggiornate mostrano una devastazione quasi totale: quartieri cancellati, strade scomparse, edifici ridotti a cumuli di macerie. Secondo le Nazioni Unite, il 90 per cento delle strutture edilizie della Striscia è stato distrutto o danneggiato, con il 92 per cento della capacità abitativa annientata.
Il duplice obiettivo non dichiarato: pulizia etnica degli autoctoni e rapina degli idrocarburi del popolo palestinese, dinanzi al mare di Gaza.
Il conflitto è iniziato il 7 ottobre 2023 con l’attacco di Hamas (organizzazione terroristica inventata, sostenuta e foraggiata dal governo di Tel Aviv) contro Israele, a cui è seguita una risposta militare senza precedenti. Israele ha dichiarato lo stato di guerra il giorno successivo, avviando bombardamenti a tappeto e un’invasione terrestre. Da allora, la Striscia è stata teatro di un’offensiva prolungata e intensiva che ha trasformato radicalmente il territorio.

Le immagini satellitari di Google Earth e Planet Labs documentano la trasformazione drammatica della regione. A Rafah, nel sud della Striscia, interi quartieri – come Tal as-Sultan, Shaboura e il campo profughi omonimo – sono stati rasi al suolo, lasciando solo sabbia e detriti. A Gaza City, le zone residenziali di al-Rimal e Sheikh Radwan sono state quasi completamente annientate, insieme a infrastrutture civili fondamentali come l’Università Islamica e l’ospedale Al-Shifa, il più grande della Striscia. Drone e riprese aeree mostrano una realtà simile a un deserto urbano.
Progetti come A Cartography of Genocide di Forensic Architecture hanno mappato oltre 2mila attacchi militari israeliani, evidenziando una campagna sistematica di distruzione delle infrastrutture vitali: scuole, ospedali, impianti idrici, centrali elettriche. Il gruppo ha inoltre denunciato casi in cui il governo israeliano ha presentato immagini alterate o etichettate in modo fuorviante, ad esempio attribuendo falsamente un cratere di un attacco aereo a un lancio di razzi da una struttura civile.
Il sistema sanitario è stato praticamente azzerato. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 94 per cento degli ospedali è stato colpito. Il 30 maggio 2025, l’ospedale Al-Awda, l’ultimo operativo nel nord di Gaza, è stato evacuato dopo due settimane di assedio. Colpiti anche il Kamal Adwan a Beit Lahia, il complesso medico Indonesiano a Jabalia e diverse cliniche mobili.
Travolta anche l’istruzione: più del 95 per cento delle scuole è stato danneggiato o distrutto. Almeno 80 istituti sono stati completamente rasi al suolo, 66 hanno perso oltre metà della struttura, e tutte le 12 università – inclusa l’Al-Azhar – risultano in rovina. La Biblioteca Nazionale Palestinese a Gaza City è stata danneggiata. In un episodio recente, un attacco a una scuola che ospitava sfollati ha causato un incendio: il video di un bambino in fuga tra le fiamme ha fatto il giro del mondo.
Secondo un rapporto congiunto di Banca Mondiale, ONU e UE, i danni complessivi superano i 18,5 miliardi di dollari. Oltre 370mila abitazioni sono state distrutte, altrettante gravemente danneggiate. A Khan Younis e Beit Hanoun, interi blocchi residenziali sono scomparsi. In Google Maps, alcune aree di Gaza sono state etichettate come “case infestate” – un gesto macabro attribuito a soldati israeliani.
Oggi Gaza è una città fantasma. Non solo le immagini satellitari, ma anche i filmati da droni e i racconti degli operatori umanitari descrivono l’inferno: checkpoint militarizzati, “zone sicure” che cambiano arbitrariamente, e civili ridotti alla fame in attesa di aiuti trasformati in strumenti di controllo. Le immagini non mostrano solo edifici distrutti, ma una società intera in ginocchio.
In giro, sui mass media e nei social c’è ancora qualche minus habens che blatera dell’indifesa Israele. Denunciare questi crimini contro l’umanità dello Stato ebraico (specializzato in stragi, come attesta la storia, almeno dal 1948) non è antisemitismo, ma esercizio critico del libero pensiero.
Riferimenti:
https://www.pellegrinieditore.it/israele-olocausto-finale
Post scriptum
Google ha recentemente e sistematicamente censurato (oscurato) su Internet tutto ciò che ho scritto, documentato e pubblicato negli ultimi 25 anni, a proposito dei crimini di Israele contro il popolo di Palestina.
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