

di Gianni Lannes
Alle voci: ecocidio, ecatombe. Armi chimiche e radioattive affondate nell’Adriatico centrale, da Pesaro a Venezia, dal 1944 ai giorni nostri, passando per la guerra in Jugoslavia. Ulteriori prove, oltre a quelle del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) sono contenute in dettaglio nell’Atlante europeo dei mari, nei periodici “Avvisi naviganti” dell’Istituto Idrografico della Marina Militare italiana, nell’Archivio Storico della Marina Militare italiana con sede a Roma, nell’Archivio di Stato di Pesaro-Urbino, Bari e Foggia; inoltre sono insite nell’ammissione ufficiale dell’ammiraglio Paolo La Rosa in veste di ministro della Difesa, in risposta ad un’interrogazione parlamentare. In ogni caso a scelta, ed in tempo reale, basta sfogliare le mappe interattive dell’Europarlamento e chiunque, anche un’inquilina temporanea di Palazzo Chigi, un magistrato troppo distratto o qualsivoglia incompetente di turno sulla scena mediatica, può rendersene conto. Hanno trasformato i mari d’Italia in una discarica bellica a tutti gli effetti. Tutte le autorità sono ampiamente a conoscenza della gravissima situazione, ma non hanno fatto nulla per porre rimedio, piuttosto hanno sempre insabbiato e negato l’evidenza.

Di che si tratta esattamente? Oltre 100 mila bombe piene di sostanze cancerogene e dunque molto pericolose, come iprite e arsenico di produzione italiana, nascoste in un deposito segreto ordinato da Mussolini nel 1939 (ubicato nelle gallerie ferroviarie sotto Urbino) che il Sonderkommando Meyer il 10 agosto 1944 ha affondato ad un soffio da Fano, Pesaro, Gabicce e Cattolica, dove ancora giacciono indisturbate, come peraltro ha certificato il 20 novembre 1951 la risposta del sottosegretario alla Marina Mercantile Tambroni all’interrogazione dell’onorevole fanese Enzo Capalozza (deputato comunista, senatore della Repubblica e infine giudice della Corte Costituzionale). Senza contare un milione di armi chimiche inabissate dalle forze armate Unites States of America durante il 1945 nel Basso Adriatico (Golfo di Manfredonia e al traverso di Bari) e nel Golfo di Napoli (Ischia)

A questo micidiale arsenale vietato dalla Convenzione di Ginevra del 1925 e bandito dal Trattato di Parigi del 1993, sono state aggiunte nel 1999, dalla NATO col criminale contributo tricolore per ordine dell’allora primo ministro Massimo D’Alema, anche gli ordigni radioattivi a caricamento speciale imbottiti con l’ uranio depleto, avanzati ai bombardamenti nei Balcani, gettati infine nell’Adriatico, sovente addosso ai pescatori italiani.

Una controprova, a parte la documentazione NATO? Un rapporto dell’International Atomic Energy Agency (un’agenzia intergovernativa dell’ONU che promuove l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare e monitora la proliferazione nucleare. Fondata nel 1957, ha sede a Vienna e ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2005) attesta che proprio nel Mediterraneo, compreso l’Adriatico, sono stati rilevati due radionuclidi artificiali: plutonio 239 e plutonio 240, entrambi con emivita di appena 24.400 anni. In totale, nell’Adriatico le aree di affondamento delle bombe inesplose targate NATO (ufficialmente 64 mila ordigni, ma in realtà molti di più) assommano a 24.

La letteratura scientifica in materia parla chiaro da almeno tre decenni. Luigi Alcaro, responsabile del servizio emergenze ambientali in mare dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, dipendente dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare), non ha dubbi:
“Alcuni studi bibliografici, le interviste poste agli operatori della pesca e le indagini condotte in alcune aree pilota hanno permesso di evidenziare come la presenza di armi chimiche nei mari italiani sia accertata così come la presenza di prodotti di degradazione dell’iprite”.

Non è proprio tutto. Ad un’attenta disamina della predetta documentazione civile e militare, inclusa la mappa nautica 1050 dell’Idrografico di Genova, nonché le svariate ordinanze della Guardia Costiera, emerge che da San Benedetto del Tronto al Golfo di Venezia è tutto un pullulare di poligoni militari nazionali ed internazionali attivi ed operativi tutto l’anno. Al largo fra Pescara e Porto San Giorgio si estende una gigantesca zona, a forma di quadrilatero, utilizzata per i giochi di guerra.

Conseguenze? Danni ambientali e sanitari, a carico di esseri viventi ed ecosistemi naturali. I più esposti e i primi a pagare con la vita e spesso con la malattia sono i pescatori e tante loro barche sono state affondate nel corso di impuniti giochi di guerra, come nel caso del peschereccio Rita Evelin di San Benedetto del Tronto, colato a picco al traverso di Porto San Giorgio, la mattina del 26 ottobre 2006. Nell’Adriatico, la prima barca a risultare inabissata a causa delle conseguenze della guerra è stata la Anna di Fano che esplose l’8 gennaio 1950. Non si salvò nessuno dei nove marinai e fu ritrovato soltanto il corpo di uno.



Bonifiche? Inesistenti nell’Adriatico centro-settentrionale, sia nel mare delle Marche che in quello romagnolo, veneto e friulano. Nonostante le altisonanti promesse governative, i nostrani esecutori di ordini atlantici hanno mandato in onda operazioni di mera facciata.

Tant’è che nel 2015, l’allora sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, chiede al ministro della Difesa, la documentazione relativa alla presunta bonifica dei fondali marini dalle insidie belliche. A tutt’oggi, non è giunta alcuna risposta. In compenso, però, nonostante una denuncia ben comprovata del Comitato Nazionale Bonifica Armi Chimiche presentata da Alessandro Lelli e sottoscritta anche da Italo Campagnoli alla Procura della Repubblica di Pesaro, il procedimento giudiziario è stato incredibilmente archiviato dal procuratore Palumbo, poiché la locale Capitaneria ha fornito notizie menzognere e depistatorie, mentre l’Arpam ha effettuato prelievi nei punti sbagliati. Volutamente? Comunque, il risultato era programmato: tutto a posto e silenziato, fino ad oggi.

Che fare? Far valere il principio giuridico noto come “chi inquina paga”. Norme di carta straccia? La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio datata 17 giugno 2008 al punto 3 parla chiaro:
«L’ambiente marino costituisce un patrimonio prezioso che deve essere protetto, salvaguardato e, ove possibile, ripristinato al fine ultimo di mantenere la biodiversità e preservare la diversità e la vitalità di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi. A tale proposito la presente direttiva dovrebbe, fra l’altro, promuovere l’integrazione delle esigenze ambientali in tutti gli ambiti politici pertinenti e costituire il pilastro ambientale della futura politica marittima dell’Unione europea».
Durante le due guerre mondiali, che hanno interessato l’Italia nel secolo scorso, si può stimare che sul nostro territorio nazionale siano state sganciate circa 378.900 tonnellate di bombe. A seguito delle campagne di risanamento del territorio, effettuate dalle sezioni di rastrellamento bombe e proiettili, costituite presso i Comandi Militari Territoriali tra il 1946 e il 1948, è stato rinvenuto un cospicuo numero di ordigni, che le forze militari considerano pari a circa il 60 per cento dei potenziali ordigni inesplosi disseminati su tutta la nostra area geografica. Si valuta, pertanto, in base a tali dati, che sul nostro territorio ci siano, attualmente, ancora 15 mila tonnellate circa di ordigni inesplosi. L’entità del fenomeno è tale da far sì che ogni anno in Italia vengano rinvenuti casualmente circa 60mila ordigni bellici.
La proibizione delle armi chimiche è regolata dal trattato internazionale dell’ONU denominato Convenzione per le Armi Chimiche (CWC) e ha come organo di controllo l’OPCW, Organization for the Prohibition of Chemical Weapons, sempre dipendente dalla Nazioni Unite. La Carta istitutiva dell’ONU è stata definita e votata nel 1945 come trattato fondamentale per tutti i Paesi del mondo per eliminare le guerre, le armi di distruzione di massa (biologiche, chimiche, nucleari e radiologiche) e avere il controllo di tutte le armi convenzionali, creando una cultura della Pace.
La Carta Universale dell’ONU si basa su principi e finalità di carattere etico che dovrebbero essere la base di tutti i Paesi, liberi e democratici. Questi sono:
– Mantenere la pace e la sicurezza internazionale;
– Promuovere la soluzione delle controversie internazionali e risolvere pacificamente le situazioni che potrebbero portare ad una rottura della Pace;
– Sviluppare le relazioni amichevoli tra le Nazioni sulla base del rispetto del principio di uguaglianza fra gli Stati e l’autodeterminazione dei Popoli Promuovere la cooperazione economica e sociale;
– Promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a vantaggio di tutti gli individui;
– Promuovere il disarmo e la disciplina degli armamenti;
– Promuovere il rispetto per il diritto internazionale ed incoraggiare lo sviluppo progressivo e la sua valorizzazione fra gli Stati.
I predetti principi e finalità, approvati da tutti i Paesi del mondo, dovrebbero essere conosciuti e commentati dal mondo scolastico. Sul modello dei principi e delle finalità della Carta dell’ONU anche la Convenzione per le Armi Chimiche contiene principi etici e finalità generali nel suo Preambolo e nell’art. 1:
– La Convenzione tende a realizzare i Principi della Carta dell’ONU:
– Ritiene che ogni risultato nel campo della chimica deve essere esclusivamente dedicato al benessere dell’umanità;
– La sua precipua finalità deve essere quella di bandire ed eliminare le armi chimiche per sempre ed in ogni angolo della Terra;
– Ogni tossico chimico può diventare un’arma chimica. Per questo l’OPCW deve tenere sotto controllo tutta la produzione chimica mondiale.
Per questo l’Italia, avendo firmato la Carta dell’ONU ed avendo aderito e ratificato la Convenzione sul disarmo chimico, deve creare tutte le condizioni perché le armi chimiche non siano più un pericolo per l’ambiente e la popolazione.
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Premessa
La Convenzione di Parigi sulla Proibizione dello Sviluppo, Produzione, Immagazzinaggio ed Uso delle Armi Chimiche e sulla loro Distruzione costituisce uno dei principali pilastri su cui si basa il regime multilaterale di disarmo e non-proliferazione delle armi di distruzione di massa.
La Convenzione, aperta alla firma a Parigi il 13 gennaio 1993 – dopo molti anni di intensi negoziati presso la Conferenza del Disarmo di Ginevra – è stata firmata da 130 Stati subito dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed è entrata in vigore il 29
aprile 1997. Attualmente, ha raggiunto le 193 adesioni e rappresenta lo strumento più completo finora messo in atto nel campo del disarmo, in quanto proibisce un’intera categoria di armi di distruzione di massa ed ha istituito un’organizzazione a carattere permanente che vigila sulla
sua applicazione – l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (di seguito OPAC) – con sede a L’Aja. L’OPAC ha il mandato di perseguire gli obiettivi e gli scopi della Convenzione, compresa l’attuazione di un sistema di verifiche assai perfezionate ed intrusive nel territorio di
tutti gli Stati Parte. Ratificando la Convenzione, gli Stati Parte si sono impegnati a distruggere le armi
chimiche eventualmente presenti sul loro territorio (disarmo), a non detenere, sviluppare o fabbricarne di nuove, a non ricorrere al loro utilizzo per nessun motivo, nemmeno a titolo di rappresaglia a seguito di un attacco con l’impiego di tali armi. Gli Stati Parte si sono altresì
impegnati ad accogliere e facilitare sul proprio territorio le ispezioni dell’OPAC volte a verificare la distruzione degli arsenali esistenti, nonché a sottoporre le proprie industrie chimiche a periodici controlli, con lo scopo di accertare che prodotti chimici pericolosi – largamente utilizzati anche per usi civili consentiti – non siano impiegati per la produzione di nuove armi chimiche (non- proliferazione).
La legge di ratifica n. 496 del 18 novembre 1995 – integrata dalla legge n. 93 del 4 aprile 1997, e dal DPR n. 298 del 16 luglio 1997 – ha istituito presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale l’Autorità Nazionale incaricata di curare i rapporti con l’OPAC e con gli altri Stati Parte, nonché di sovrintendere e coordinare le complesse misure di applicazione della Convenzione sul territorio nazionale.
Riferimenti:
S. Dliot Morison, History of USA Naval Operations of World War II, vol. VI, pp. 322, University of Illinois Press, 2001.
G.B. Infield, Disaster at Bari, New English Library Ltd, 1976.
Textbook of Military Medicine, Government Printing Office, Washington 2003, p. 21.
Legambiente, Armi chimiche, un’eredità ancora pericolosa, Roma, 21 febbraio 2011.
W.R. Brankowitz, Chemical Weapons Movement. History Compilation, Aberdeen Proving Ground, Maryland, 1987, pp. 5.
https://www.horizon-europe.gouv.fr/identify-inspect-neutralise-unexploded-ordnance-uxo-sea-34207
https://link.springer.com/article/10.1007/s00227-005-0216-x
https://legislature.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed412/btris.htm
https://italy.news-pravda.com/italy/2024/12/05/98711.html
http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/344929.stm
https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=10286
https://www.wsws.org/en/articles/1999/05/fish-m21.html
https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-7-2014-002235_FR.html
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/FR/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013D1386
https://eur-lex.europa.eu/FR/legal-content/summary/strategy-for-the-marine-environment.html
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32008L0056
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