
inchiesta di Gianni Lannes
Armi chimiche di fabbricazione italiana : ordigni imbottiti di iprite e d’arsenico (entrambi cancerogeni) che nell’estate dell’anno 1944, i militari tedeschi hanno segretamente affondato nel mare di Pesaro, anche verso Cattolica e Fano.

A una manciata di miglia dalla costa, giacciono da allora su bassi fondali (12-20 metri) ormai anossici. “Qui ristagna almeno un metro di poltiglia e la visibilità è scarsa”: conferma Valter Sabatini, presidente dell’associazione subacquea Subtridente.


Si tratta soprattutto di bombe d’aereo C.500T, realizzate in Italia (usata in Etiopia, Libia e Somalia per ordine di Mussolini) con lo scopo di consentire il tiro da alta quota con aggressivo chimico in forma liquida, contro bersagli di ogni genere, anche umani. Ufficialmente, a conti fatti in totale, circa 10 mila tonnellate di micidiale spazzatura bellica – proibita dalla Convenzione di Ginevra del 1925 e dal Trattato di Parigi del 1993 – che ha trasformato questa area dell’Adriatico in una discarica di guerra.



Il 22 aprile 2008 l’interrogazione sulle bombe proibite in Consiglio Regionale ad Ancona fa un buco nell’acqua.

Nel 2010 Luca Ceriscioli – nel ruolo di primo cittadino -scrisse al ministro della Difesa La Russa, ma non ebbe una risposta risolutiva.
Nel 2014 il Comitato Nazionale Bonifica Armi Chimiche ha presentato alla locale Procura un esposto, archiviato nel 2015 dalla pm Garulli. I firmatari della documentata denuncia – Alessandro Lelli e Italo Campagnoli – hanno richiesto l’acquisizione del fascicolo giudiziario, che però da mesi viene pretestuosamente viene negato agli aventi diritto. Il magistrato investito del caso, ha minimamente indagato?
Anche tutti i governi italiani (all’epoca da Berlusconi e oggi fino alla Meloni) dal 25 novembre 2010, non rispondono all’interrogazione parlamentare a risposta scritta numero 4/09713. Perché?

Inoltre, nel 2017 grazie al voto contrario dell’attuale sindaco di Pesaro Biancani, non è stata approvata la mozione 175 che prevedeva la bonifica marina dei pericolosi residuati bellici.


In compenso, la stessa Regione Marche ha autorizzato in loco, proprio in prossimità delle zone marine inquinate dalla presenza dei predetti veleni chimici, addirittura l’attività di impianti per la maricoltura.


Insomma, un mare minato. A scanso di facili equivoci, anche il Portolano della Marina (periodicamente aggiornato) segnala le aree a rischio e pericolo, dove peraltro, durante la guerra in Jugoslavia sono stati affondati da velivoli targati NATO, numerosi altri ordigni speciali e non convenzionali. Anche in tal caso, la medesima Regione Marche ha fatto finta di niente, come attesta un’interrogazione finita in lettera morta. Poiché le autorità ad ogni livello e grado fanno finta di niente, per squarciare il clima di omertà locale, una domanda è d’obbligo: c’è un giudice almeno a Berlino?



Riferimenti:

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