ITALIA: ARMI PROIBITE!

di Gianni Lannes Ordigni chimici e batteriologici fabbricati in Italia per ordine di Mussolini in ottimi affari con Winston Churchill (che nel secondo dopoguerra ordinò la distruzione di tutto il compromettente carteggio col duce del fascismo e la censura sulle conseguenze letali dell’iprite). Armi di distruzione di massa vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1925…

di Gianni Lannes

Ordigni chimici e batteriologici fabbricati in Italia per ordine di Mussolini in ottimi affari con Winston Churchill (che nel secondo dopoguerra ordinò la distruzione di tutto il compromettente carteggio col duce del fascismo e la censura sulle conseguenze letali dell’iprite). Armi di distruzione di massa vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1925 e poi dal Trattato di Parigi del 1993. Che fine hanno fatto? Nel 1944 e 1945 sono state in gran parte affondate nel Mare Adriatico (Pesaro, Manfredonia, Molfetta, Bari) prima dai tedeschi (100mila) e poi dagli alleati anglo-americani (1 milione). Questi strumenti di morte (soprattutto arsenico e iprite) sono penetrati nella catena alimentare attraverso la fauna ittica e giacciono su bassi fondali dove uccidono a distanza di tempo, come attestano gli studi dell’Icram (Ispra).

Dagli archivi segreti inglesi emergono imbarazzanti verità, sui numerosi depositi della Regia Aeronautica realizzati a partire dal 1939 per ordine di Benito Mussolini, come ad esempio quello sotto Urbino, ubicato in alcune gallerie ferroviarie dove ancora nel 1943 erano stipati un milione di ordigni, tra cui 100 mila bombe d’aereo modello C500 T imbottite con l’iprite, nonché barili di arsenico: il tutto affondato nel mare di Pesaro dalle truppe di Hitler (in prossimità della Linea Gotica).

A proposito di legalità: vale ancora il principio internazionale in ambito giuridico “chi inquina paga”?. E dire che il cancelliere Schroeder dopo aver ricevuto nel 2004 la cittadinanza onoraria di Pesaro e nel 2007 la laurea honoris causa in Economia e commercio dall’Università di Urbino, era tornato nella città di Raffaello per una lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2009-2010 dell’Università. Nessuno però ha mai chiesto il conto da Roma a Berlino. Singolare coincidenza: il presidente federale tedesco Frank Walter Steinmeier passa spesso le vacanze proprio nella provincia di Pesaro-Urbino. Così, vista e ponderata la cronica inerzia delle autorità nostrane, ho indirizzato una missiva diplomatica all’attuale ambasciatore teutonico Lucas in Italia, ma dopo 4 mesi non ho ancora ricevuto la benché minima risposta. A proposito: come mai il governo italiano non ha mai fornito spiegazioni all’interrogazione parlamentare 4/09713 del 25 novembre 2010?

Nel corso della Seconda guerra mondiale, tutti i contendenti avevano a disposizione armi chimiche, che però non sono state utilizzate in larga scala. L’Italia le ha usate nel secolo scorso in Etiopia, Libia e Somalia. Dopo il conflitto, dunque, si è posto il problema di eliminarle. Fino alla fine degli anni Settanta l’unica soluzione è stata l’affondamento del materiale bellico obsoleto nei fondali marini. Per l’Italia questo significa un’eredità pesante: in vari punti delle coste italiane, come il golfo di Napoli, l’Adriatico, sono presenti migliaia di ordigni caricati ad armi chimiche risalenti proprio al secondo conflitto mondiale. Armi abbandonate dall’esercito americano o da quello tedesco, oppure recuperate in operazioni di bonifica e affondate altrove, come nel caso degli ordigni della John Harvey, una nave statunitense affondata dai tedeschi nel golfo di Bari nel dicembre 1943: le armi chimiche recuperate nel 1947 sono state affondate nel mare davanti a Molfetta.

Oggi le operazioni di recupero e bonifica funzionano diversamente. Gli stati aderenti alla CWC si sono impegnati a distruggere eventuali scorte entro il 29 aprile 2012 senza danni per l’ambiente. Le reazioni che rendono inoffensive le armi chimiche sono principalmente di idrolisi: i composti organici del fosforo costituenti i gas nervini, per esempio, vengono trasformati nei corrispondenti acidi fosfonici. In altri casi, come per l’iprite, è possibile ricorrere a reazioni con ipoclorito, o a reazioni di ossidazione con ozono.

Secondo la Convenzione internazionale sulle armi chimiche, CWC (Chemical Weapon Convention), che dal 1997 pone il divieto di uso, immagazzinamento, produzione e sviluppo di armi chimiche e ne regolamenta la distruzione, un’arma chimica è qualsiasi sostanza tossica o qualsiasi suo precursore che abbia proprietà tali da procurare morte, invalidità, incapacità momentanea o irritazione dei sensi. La definizione non si limita alle sostanze, ma si estende anche alle munizioni e ai sistemi per trasportarle e disperderle, indipendentemente dal fatto che siano pieni o vuoti. La CWC, in realtà, è solo l’ultima convenzione internazionale sulle armi chimiche, in ordine di tempo, nata con l’obiettivo non solo di bandirne l’utilizzo in tutto il mondo, ma anche di assicurare l’eliminazione dei depositi esistenti. Già nel 1899, la Convenzione dell’Aja aveva posto il divieto di utilizzo dei gas asfissianti, disatteso durante la Prima guerra mondiale. Nel 1925, con il Protocollo di Ginevra, il divieto era stato esteso ad altre sostanze, ma anche in questo caso senza grandi risultati: molti paesi hanno continuato a produrre e ad immagazzinare armi chimiche, anche se principalmente come minaccia nei confronti dei nemici. Qualcuno, talvolta, le ha anche utilizzate, come l’Italia con l’iprite e i gas asfissianti durante la guerra d’Etiopia nel 1935-36 o, in tempi più recenti, l’Iraq contro la popolazione curda ad Halabja nel 1988.

Il primo e più importante “campo di battaglia” per le armi chimiche è stato sicuramente il primo conflitto mondiale. Già nella primavera del 1915, nonostante quanto stabilito dalla Convenzione dell’Aja, i tedeschi usarono il cloro come gas asfissiante in una delle battaglie avvenute a Ypres, nelle Fiandre occidentali. Il gas, sparso nell’aria e sospinto dal vento fino alle linee nemiche, causò la morte di circa 5000 dei 10 000 soldati colpiti. L’attacco tuttavia non fu risolutivo, perché lo Stato Maggiore tedesco lo aveva considerato un semplice esperimento, e non aveva previsto una strategia successiva. Il cloro era una vecchia conoscenza: scoperto come elemento nel 1810, e studiato quindi da oltre un secolo, era fondamentale per la produzione dell’acido cloroacetico necessario per ottenere l’indaco sintetico. Il cloro, prodotto dall’elettrolisi del cloruro di sodio in soluzione, nasce quindi come sostanza per usi pacifici utilizzata in particolare nell’industria dei coloranti: viene usato ancora oggi in moltissimi casi: per potabilizzare l’acqua e disinfettare le piscine, o per produrre carta, coloranti, tessuti, medicine, insetticidi e altro ancora.


La storia del fosgene (dicloruro di carbonile, COCl2), utilizzato in combinazione con il cloro perché più velenoso e perché quest’ultimo, che bolle a temperatura più bassa, lo trasporta e mantiene allo stato gassoso, è simile. Sintetizzato nel 1812 e prodotto dalla reazione tra cloro gassoso e monossido di carbonio catalizzata da carbone, era ed è impiegato nell’industria dei coloranti per produrre i derivati del trifenilmetano. Cloro e fosgene, quindi, non sono stati studiati e messi a punto appositamente per l’uso bellico, ma non è così per altri agenti chimici impiegati durante la Prima guerra mondiale: la difenilcloroarsina, per esempio, un agente starnutatore in grado di attraversare i filtri delle maschere antigas degli alleati, è stata sviluppata proprio per l’impiego in guerra. Il primo dei gas mostarda, l’iprite, utilizzato sempre a Ypres nel 1917, è un tioetere [S(CH2CH2Cl)2] sintetizzato nel 1822, le cui proprietà fisiologiche erano note già dal 1860, ma che non aveva mai avuto applicazioni pratiche in ambito civile. Anche la Lewisite, un agente vescicante scoperto e prodotto negli Stati Uniti (ma studiato anche in Germania) verso la fine della guerra, non ha impieghi pratici e non è stata utilizzata solo perché nel frattempo la guerra si è conclusa.

Ma perché queste dinamiche? Come e perché nasce un’arma chimica? Che cosa cambia tra il modificare la destinazione d’uso – da civile a bellico – di una sostanza e l’utilizzarne una che non ha altre applicazioni se non come arma? Le risposte a queste domande si intrecciano con la storia e la politica della scienza nei vari paesi coinvolti. All’inizio del Novecento, la maggior parte dei paesi non era consapevole dell’importanza della scienza in caso di guerra, né di fatto aveva una politica della scienza. Solo il governo della Germania, dove all’epoca sia le conoscenze in ambito chimico sia la loro applicazione industriale erano nettamente superiori a quelle degli altri paesi, aveva iniziato a fornire un appoggio diretto alla ricerca. Questo contribuì a far sì che i tedeschi fossero i primi a impiegare, come armi, sostanze delle quali avevano già conoscenze, tecnologia e impianti necessari. In seguito anche altri stati in guerra si sono adeguati, dando avvio a una rincorsa per mettere a punto sia nuovi aggressivi chimici sia nuovi mezzi di difesa.


Quando una sostanza e le sue metodiche di sintesi sono già note, si sa già come e dove reperire i reagenti necessari e la produzione su larga scala è già stata progettata ed eseguita in sicurezza. Nel caso di un’arma sviluppata ex novo bisogna progettare tutto da zero: predisporre procedure di sintesi su larga scala, eventualmente anche per i reagenti necessari, costruire impianti, formare il personale perché lavori in condizioni di sicurezza, fornire dispositivi di protezione adeguati. In entrambi i casi, però, bisogna studiare caratteristiche e proprietà chimiche e fisiologiche delle sostanze, per capire meglio come possono essere efficaci, stabilire come utilizzarle al meglio e anche come proteggersi. Inoltre, occorre progettare e avviare la produzione dei sistemi per la loro dispersione: proiettili, bombe, armi per il lancio. Non basta dunque che un ricercatore scopra o sintetizzi casualmente una sostanza nociva per avere un’arma chimica: è necessario uno sforzo decisamente maggiore che coinvolge buona parte della società.

Riferimenti:

https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/2010/01/08/278232-schroeder_enoteca.shtml

https://shop.nexusedizioni.it/blogs/casa-editrice/bombe-a-mare-immersione-in-un-inferno-nascosto

https://www.ariannaeditrice.it/prodotti/italia-usa-e-getta-epub

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=49920

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