
Ricordare le esperienze e viverle. Insomma, spegnere lo schermo e accendere la mente. Cosa resta in noi quando disattiviamo la macchina e quanto dell’artificiale ci portiamo dentro?
La memoria non è più soltanto ciò che tratteniamo, ma il risultato delle strutture — tecnologiche, culturali, percettive — che decidono in anticipo cosa può essere ricordato? È forse in questa tensione – tra l’accumulare e il lasciar andare – che si definisce la forma della nostra memoria contemporanea.
Quante fotografie abbiamo nella galleria del telefono? E se ci volesse anche solo un secondo per ciascuna, quanto tempo impiegheremmo a riguardarle tutte? Cosa stiamo lasciando fuori dall’inquadratura?
La difficoltà di ricordare senza immagini, l’ansia di registrare per non “perdere” ciò che si vive, l’abitudine a pensare in formato post. Piuttosto che creare o cercare esperienze degne di essere registrate, c’è l’ossessione di conservare tutto.
Nel nostro rapporto con la memoria digitale c’è qualcosa che sembra ripetersi all’infinito — lo scatto salvato, il video archiviato, la storia ricondivisa — ma ciò che abbiamo vissuto mentre quelle immagini nascevano non esiste più, non è replicabile. L’illusione di trattenere tutto collide con il fatto che ogni esperienza accade una sola volta.
Questo nostro continuo predisporci alla memorizzazione — fotografando tutto, racconta molto del modo riduttivo in cui concepiamo il tempo e la nostra posizione al suo interno. È come se cercassimo una conferma esterna che ciò che viviamo abbia davvero avuto luogo, una traccia che sopravviva all’istante. E la prova più eloquente di questa tensione non è soltanto nelle immagini che produciamo, ma negli spazi che continuiamo ad ampliare per contenerle. Una memoria che, paradossalmente, cresce mentre il senso dell’esperienza rischia di assottigliarsi.
La memoria non è solo un serbatoio da cui attingere, ma è anche un luogo in cui può svanire ciò che dovrebbe essere conservato e, con esso, parti della nostra stessa identità. Ciò che perdiamo non è soltanto un dettaglio o un nome, ma una certa versione di noi stessi, quella che pensavamo di poter tenere insieme grazie al ricordo.
Ridurre la nostra presenza digitale significa tornare a percepire il valore irripetibile di ciò che accade davanti a noi e in noi.
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