di Gianni Lannes

Dopo appena 25 anni l’assassino non è stato ancora individuato, in una capitale ormai in avanzato stato di decomposizione sociale e degenerazione politica.
Il 7 agosto 1990 fu commesso in Roma un gravissimo assassinio che per molti anni e tuttora ha suscitato la commozione dell’opinione pubblica e l’interesse dei media, l’uccisione di Simonetta Cesaroni, con ventinove coltellate, in un palazzo nei pressi di Piazza Mazzini, mentre svolgeva il proprio lavoro di inserimento di dati contabili nel computer dell’associazione alberghi per la gioventù.
L’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno è stato Presidente regionale degli Ostelli della Gioventù e i suoi uffici si trovavano proprio in via Poma. Simonetta Cesaroni, all’epoca dei fatti ventenne, lavorava come segretaria presso la Re.Li Sas, uno studio commerciale, che collaborava con Caracciolo di Sarno, e Cesaroni si recava lì alcuni giorni alla settimana per svolgere il lavoro di contabile.
Il giorno della morte, Simonetta si trovava presso gli uffici di via Poma, 2, per svolgere il suo lavoro. In seguito, avrebbe dovuto chiamare Salvatore Volponi, il suo datore di lavoro, per aggiornarlo. L’ultimo segnale che Cesaroni era ancora viva risale alle 17.15 quando telefonò a Luigia Berrettini, mentre Volponi non riceverà mai la sua chiamata.
Non vedendola tornare a casa, i familiari di Simonetta iniziarono a cercarla recandosi proprio negli uffici di via Poma, insieme a Volponi, alla sorella di Simonetta, Paola e al fidanzato della Cesaroni, Raniero Busco. Lì, trovarono il cadavere di Simonetta.
Un altro delitto di Stato con indagini inquinate e superficiali. Perché alcune interrogazioni parlamentari ai governi italiani, a tutt’oggi sono ancora lettera morta?
Che fine ha fatto il Dna estratto dalle copiose tracce di sangue trovate sull’ascensore dello stabile di via Poma 2? Perché nessuno dei sospettati e dei testimoni è stato mai sottoposto alla profilazione genetica? Che ruolo hanno svolto i servizi segreti italiani (Sisde e Sismi)?
Avendo seguito lo sviluppo delle indagini, e conoscendo gli atti del processo, la famiglia Cesaroni aveva avuto il dubbio che fossero stati commessi errori o delle negligenze da parte degli investigatori ed aveva, quindi, presentato due esposti nel 2000 e nel 2001 al ministro della giustizia, affinché venisse disposta un’ispezione amministrativa.
Andiamo ai fatti. Il cosiddetto “super testimone” austriaco Roland Voller, grande accusatore di Federico Valle nell’inchiesta sul giallo di via Poma, aveva in uso un telefono cellulare intestato al Ministero dell’interno. Lo stesso Voller aveva a disposizione una cassetta di sicurezza presso il caveau della BNL di via Bissolati ottenuta grazie ad una lettera di raccomandazione su carta intestata della questura di Roma firmata dal commissario Antonio Del Greco, all’epoca dei fatti dirigente della quinta sezione della squadra mobile romana impegnata – su delega del pubblico ministero Pietro Catalani – nelle indagini sull’omicidio di Simonetta Cesaroni.
Questo cittadino austriaco custodiva fra le altre carte nella sua cassetta di sicurezza una fascetta del tipo utilizzato per avvolgere le banconote con un numero di serie non emesso dalla Banca d’Italia e quindi proveniente, probabilmente, da fondi riservati gestiti dal
Ministero dell’interno.
Sempre Roland Voller era in stretto contatto, anche per sua esplicita ammissione, con esponenti ed agenti segreti sia del Sisde che del Sismi per non meglio precisati fini istituzionali. Il cosiddetto “super testimone” di via Poma frequentava il palazzo dove è stato rinvenuto – appunto il 7 agosto del 1990 – il cadavere di Simonetta Cesaroni in epoca precedente al delitto, poichè lì aveva sede l’ufficio del suo agente assicurativo.
Alcuni funzionari di polizia all’epoca dei fatti in servizio presso la quinta sezione della squadra mobile fecero promesse al suddetto Voller sia di denaro che di altro tipo in cambio delle sue “rivelazioni” sul giovane Valle. E per diretta ammissione del dottor Antonio Del Greco nei giorni successivi al delitto di via Poma si faceva vivo nel suo ufficio il dottor Sergio Costa, genero del defunto ex capo della polizia, prefetto Vincenzo Parisi.
Il predetto Costa era prima in servizio al Sisde, poi trasferito alla sala operativa della questura di Roma e infine ritornato in forza al Sisde che – sempre per ammissione del dottor Costa – cercava con insistenza di indirizzare la pista investigativa facente capo all’ex portiere dello stabile, Pietrino Vanacore (in seguito morto suicida in Puglia, dopo 20 anni di persecuzione giudiziaria).
Inoltre, all’epoca il dottor Costa riceveva telefonate di congratulazioni da parte dell’ex capo della polizia in merito alle indagini sullo stesso Vanacore.
E ancora: l’ingegner Stefano Carucci, al quale era stata chiesta la perizia sul computer al quale doveva lavorare la povera Cesaroni, fa parte della società Insirio spa in cui figurano, fra gli altri, personaggi direttamente collegabili al Sisde e alla società immobiliare Gradoli spa, la quale ha gestito gran parte degli appartamenti del palazzo di via Gradoli 96 dove – il 18 aprile del 1978, durante il sequestro dell’onorevole Aldo Moro – venne scoperto un covo delle Brigate rosse.
Proprio in via Gradoli 96 venne scoperto e sequestrato dalla Digos di Roma, fra migliaia di reperti, un biglietto con un numero telefonico intestato alla società Immobiliare Savella spa in cui figuravano Giovanni e Andrea Colmo, presenti – tra l’altro – anche nelle società di copertura del Sisde Palestrina III srl e Proim srl sequestrate nel gennaio del 1994 dalla procura della Repubblica di Roma nell’ambito dell’inchiesta sui fondi neri del servizio segreto civile.
Ecco una singolare coincidenza: ad amministrare il palazzo di via Gradoli 96, dove venne alla luce uno dei covi delle Brigate rosse, era Domenico Catracchia (condannato con sentenza passata in giudicato per la strage di Bologna), amministratore di varie società immobiliari tra cui ‘Immobiliare Gradoli spa dove figura fra gli altri il signor Gianfranco Bonori, già in affari con Maurizio Broccoletti nella società Gattel srl anch’essa sequestrata durante l’inchiesta sul Sisde.
Uno dei legali del Catracchia (l’individuo che avvertì i vigili del fuoco la mattina della scoperta del covo) era l’avvocato Antonino Juvara, gran maestro di loggia massonica (loggia Madre San Giovanni) e compagno della signora Donatella Di Rosa.
Nel corso di un’indagine condotta dal commissario Flaminio Nuovo in via Gradoli, su un traffico clandestino di cittadini extracomunitari, è emerso che nello stesso palazzo al civico 96 vi erano degli appartamenti (cinque) intestati all’ex capo della polizia Parisi e alla sua
famiglia, tutti amministrati in via fiduciaria sempre dal Catracchia.
Durante l’istruttoria sul delitto di Simonetta Cesaroni un altro personaggio ad aver evitato l’interrogatorio da parte del magistrato sarebbe il signor Manlio Indaco Giammona, proprietario all’epoca dell’appartamento dove fu trovata la vittima, e residente in via Piccolomini 28, in un palazzo in cui sono presenti alcune proprietà immobiliari della Servo Immobiliare srl (con sede in via del Nuoto 11), anche questa società di copertura del Sisde sequestrata durante l’inchiesta sulla gestione dei fondi riservati del servizio segreto.
Perchè Roland Voller aveva in uso un telefono cellulare intestato al Ministero dell’interno?
Cosa custodiva nella cassetta di sicurezza della BNL e a quale tipo di pagamento si riferisce quella fascetta
sequestrata dai magistrati nell’ambito del presunto
depistaggio nell’inchiesta sul giallo dell’Olgiata?
Quale attività ha svolto il Voller per conto dei servizi di sicurezza dello Stato italiano, percependo per tali servigi somme di denaro o eventuali agevolazioni?
Perchè durante l’inchiesta di via Poma non è emerso che Voller già frequentava il palazzo dove è avvenuto l’omicidio?
Perchè a Voller è stata consegnata una lettera di raccomandazione da parte della Questura di Roma, a firma del dottor Del Greco, per ottenere la cassetta di sicurezza?
Perchè all’epoca dei fatti i funzionari di polizia impegnati nelle indagini sull’omicidio di Simonetta Cesaroni hanno negato che il cittadino austriaco avesse chiesto una contropartita in cambio delle sue “rivelazioni”?
Perchè Sergio Costa, funzionario del Sisde e genero del defunto prefetto Parisi, interferì nelle indagini sul giallo di via Poma e,soprattutto, qual è stato il suo vero ruolo nell’ambito di questa inchiesta, tenuto presente anche il fatto che fra i primi ad arrivare sul luogo del
delitto la sera del 7 agosto 1990 fu proprio il citato
Costa?
Perchè la perizia sul computer in uso alla Cesaroni nell’ufficio dell’AIAG di via Poma è stata affidata all’ingegner Carucci della società Insirio spa, la quale aveva fornito i programmi in uso nell’ufficio di via Poma?
Quali sono i legami tra la società Insirio, il Sisde (Aisi) e l’Immobiliare Gradoli già proprietaria di unità immobiliari in via Gradoli 96 e 75 negli stessi palazzi dove la famiglia Parisi (anche il dottor Costa) possiede vari appartamenti?
Qual è il vero legame che unisce l’Immobiliare Savella spa (scoperta durante il caso Moro) e le società di copertura del Sisde sequestrate dall’autorità giudiziaria?
Perchè non sono state sequestrate da parte della Procura di Roma le finanziarie (come la Raggio di Sole spa: Ferruzzi) che controllavano il pacchetto azionario di maggioranza di gran parte della società del Sisde, come, per esempio, la Palestrina III di Maurizio Broccoletti e Mario Ranucci, titolare quest’ultimo di una società impegnata nelle imprese di pulizia degli appartamenti dell’ex capo della
polizia Parisi e dell’allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro?
Perchè durante l’istruttoria sull’omicidio di Simonetta Cesaroni condotta dal pubblico ministero Pietro Catalani non è stato interrogato il proprietario dell’appartamento in cui fu trovata la vittima, il signor Giammona abitante nello stesso palazzo in cui si trovano alcuni appartamenti di proprietà di una società di copertura del Sisde (Servo Immobiliare)?
Che fine hanno fatto l’indagine sul traffico clandestino di extracomunitari nei miniappartamenti di via Gradoli 96 disposta dal commissariato Flaminio e che fine hanno fatto le carte sequestrate nell’agosto del 1994 negli uffici delle società immobiliari facenti capo al Catracchia e come mai non si è dato corso agli accertamenti sul materiale sequestrato?
Riferimenti:
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