
di Gianni Lannes
Non uno ma cento. Bonifiche ancora al palo, grazie alla Sogin e agli inconcludenti politicanti tricolore. Cinque centrali nucleari: quattro civili e una militare (segreta) in Toscana, a S. Piero a Grado, in provincia di Pisa, le cui scorie solide sono state occultate nella miniera di Pasquasia in Sicilia e quelle liquide scaricate in mare nel Tirreno.
Tutto il resto è attualmente disseminato in “100 depositi”: parola del ministro al ramo Pichetto Fratin. Una volta era la Marina Militare ad inabissare le scorie radioattive più pericolose, come attestano i dati incontrovertibili dell’IAEA; poi il lavoro sporco è passato alla criminalità organizzata finanziata e coperta dallo Stato tricolore, nonché foraggiata dalle multinazionali industriali (alla voce: “navi dei veleni”).
Ufficialmente, in Italia sono presenti 33 mila metri cubi di rifiuti radioattivi; si tratta, però, di una stima approssimata per ampio difetto, poiché nell’inventario nazionale risultano oltre 100 mila metri cubi, senza contare quelli interrati e affondati dalle ecomafie. I primi sono i numeri diffusi dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN) nella relazione annuale al governo e al Parlamento. “I rifiuti di bassa e molto bassa attività sono dal punto di vista volumetrico la parte preponderante” e sono raccolti “presso siti e depositi e le quantità stoccate sono destinate aumentare”, ha riferito il Direttore dell’ISIN, Francesco Campanella durante la relazione a Montecitorio. La cifra iniziale sui rifiuti radioattivi si riferisce ai dati forniti dagli operatori al 31 dicembre 2023 tramite il sistema di tracciabilità. Di quei 33mila mc, “la maggior parte ancora da sottoporre a processi di condizionamento al fine di renderli idonei al loro trasferimento al deposito nazionale”.
“I volumi in questione si trovano stoccati in 62 depositi temporanei che operano in condizioni di totale sicurezza”, assicurano dall’Ispettorato. Possibile? Comunque nel prossimo futuro, ci saranno anche altri rifiuti. Quelli generati dalle operazioni di smaltimento delle installazioni nucleari ad attività bassa o molto bassa, attualmente stimata in circa 48 mila metri cubi. E ancora devono integrarsi i rifiuti prodotti dalle operazioni di riprocessamento del combustibile esaurito inviato a tal fine all’estero: si tratta di circa 36 metri cubi ad alta attività e circa 48 metri cubi a media attività al netto del volume dei contenitori da utilizzare per il trasporto. ISIN rende noto che “le rilevanti quantità di materiali derivanti dallo smantellamento delle installazioni nucleari, se privi di rilevanza radiologica possono essere riciclati né differenti settori produttivi“.
Questa situazione fallimentare impatta sulle procedure di decommissioning finale delle centrali nucleari, ferme dal 1987, che attendono la creazione del Deposito unico nazionale cui conferire le proprie scorie radioattive.
Come previsto dal decreto legislativo numero 31 del 2010, a gennaio 2021 è stata pubblicata e aperta alla consultazione pubblica la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI). Ad essa è allegato il progetto preliminare del Deposito nazionale e parco tecnologico (DNPT).
Il 14 gennaio 2022, si è chiusa la consultazione pubblica. Il 15 marzo 2022, SOGIN ha trasmesso, per approvazione, al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica la proposta di Carta nazionale delle aree idonee (CNAI) nella quale sono state selezionate 51 aree in tutta Italia.
Il Ministro pro tempore Cingolani, nell’aprile 2022, rispondendo alle richieste parlamentari, fissava come percorribile l’ipotesi di entrata in esercizio del deposito nel 2029, con individuazione del sito nel mese di dicembre 2023.
Successivamente, a valle di interlocuzioni tecniche tra la SOGIN e ISIN, il parere tecnico di quest’ultimo, solo parzialmente favorevole, è stato ricevuto l’11 novembre 2022. Il 30 dicembre 2022 il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica ha richiesto a SOGIN di effettuare le integrazioni richieste dall’ISIN, e quindi trasmettere nel più breve tempo possibile una proposta di CNAI, al fine di consentire il decreto interministeriale di approvazione della CNAI verosimilmente entro il 2023.
Di recente il ministro Pichetto Fratin ha dichiarato che l’emissione del provvedimento di autorizzazione unica del DNPT potrebbe avvenire nel 2026 e la sua messa in esercizio nel 2030 con un possibile ulteriore slittamento fino a 12 mesi delle diverse fasi qualora non si raggiunga una intesa con le regioni. Insomma, tutto e il contrario di tutto.
In Europa, buona parte degli Stati si è dotata di un’infrastruttura specifica per la messa in sicurezza delle scorie nucleari, nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza radiologica e salvaguardia ambientale, oltre che di sicurezza pubblica.
La normativa europea prescrive agli Stati membri di trovare soluzioni definitive per la gestione dei rifiuti radioattivi entro il 2025. il nostro Paese è sotto procedura d’infrazione (n. 2018/2021) con la conseguente costituzione di messa in mora ex articolo 258 TFUE.
L’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia dell’Unione europea per la mancata trasmissione del programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, nonché per il mancato recepimento della direttiva Euratom 59/2013.
Tra le attuali 51 zone individuate ne sono annoverate ancora alcune che ricadono nell’agro dei comuni di Altamura e Matera; ad oggi non è dato sapere le ragioni delle esclusioni dalla CNAI di alcune aree (16) e la conferma delle altre (51), tenuto conto che molte delle aree confermate, per esempio tra la Puglia e Basilicata, come possibili siti per lo stoccaggio e fatte oggetto di osservazioni inviate da enti e comitati alla Sogin, presentano le stesse caratteristiche e le stesse criticità di quelle che risultano, invece, escluse.
In data 13 ottobre 2023, invece, si è conclusa, con il rilascio di «9 raccomandazioni, 10 suggerimenti e 1 buona pratica», la missione ARTEMIS (Servizio di revisione integrata per la gestione, smantellamento e bonifica dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito), gestita da esperti internazionali, i quali hanno ritenuto: «Prioritaria la necessità di accelerare i tempi per l’approvazione del Programma Nazionale 2023, che prevede lo smaltimento geologico, come destinazione finale del combustibile esaurito e dei rifiuti ad alta attività radioattiva. L’invito è a rivedere, ove necessario, il calendario per l’attuazione del Programma Nazionale, confermando che sia effettivamente realizzabile; dovranno altresì essere assicurate le necessarie tempistiche per le valutazioni di sicurezza che la SOGIN dovrà predisporre e l’ISIN verificare ai fini del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione del Deposito nazionale».
Solo qualche tempo fa, la Sogin comunicava ufficialmente di voler costruire un unico deposito, in sopraelevazione, in cui allocare, insieme, scorie di prima, seconda e terza categoria, mentre adesso si indica la necessità di utilizzo di un deposito geologico interrato, almeno per le scorie più pericolose; a fronte della sopravvenuta prescrizione dello smaltimento geologico dei rifiuti più pericolosi, non si può continuare a ritenere potenzialmente idonee aree in origine individuate per l’indifferenziato stoccaggio di superficie, senza che vi sia traccia di un approfondimento istruttorio.
Il territorio murgiano – esteso dall’altopiano delle Murge sino alle Gravine – è ubicato nel Parco dell’Alta Murgia e nel parco naturale Terre delle Gravine. In particolare il Parco dell’Alta Murgia ospita ben cinque geositi candidati ad entrare nella rete mondiale dei Geoparchi Unesco, ovvero le Cave di Bauxite, la Cava Pontrelli, la Grotta di Lamalunga, il Pulo di Altamura e il Pulicchio di Gravina. La comunità murgiana ha operato delle scelte, in ordine alle sue linee di sviluppo, valorizzando specificità produttive, paesaggistiche, ambientali, archeologiche e antropologiche che le caratterizzano: dalle produzioni tipiche, alle aree trofiche del Falco Grillaio, dall’antico tracciato della Via Appia alle antiche masserie fortificate.
L’iter burocratico indica il dicembre del 2023 come tempistica definitiva per la scelta del sito, che dovrebbe dunque diventare operativo nel 2029; se entro il 2025 i lavori non dovessero essere avviati, l’Italia incapperebbe in un grave procedimento d’infrazione da parte della Commissione dell’Unione europea, che impone la messa in sicurezza di oltre 100 mila tonnellate di scorie nucleari e con esse i rifiuti del settore medico-ospedaliero.
Nel frattempo, il decommissioning è costato dal 2010 al 2020 agli italiani 3,7 miliardi di euro (12 euro l’anno a utente domestico) più 514 milioni di euro per la compensazione dei siti.
Nell’anno 2025, ovvero adesso, l’Italia dovrà riprendersi (e non sa dove collocare o meglio occultare) 400 metri cubi di residui del riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, frutto dell’era italiana dell’atomo, inviato attraverso accordi internazionali in Francia e nel Regno Unito. Tra le 17mila scorie ad alta intensità che si prevede debbano essere stoccate nel deposito superficiale ci sono, quindi, anche 1.680 tonnellate di combustibile esaurito oggi stoccate nel Regno Unito e 235 che arriverebbero dalla Francia. Si tratta di scorie che dovrebbero essere stoccate in un deposito geologico, la cui realizzazione è un’operazione talmente complessa (per molti non conveniente), che l’idea più battuta è sempre stata quella di un progetto condiviso tra diversi Paesi per un deposito geologico da costruire rigorosamente all’estero.
Le ultime soluzioni prospettate dal ministro dell’Ambiente riguardano solo il deposito superficiale. Prima ha lanciato quella di realizzare tre depositi, al Sud, al Centro e al Nord del Paese, lasciando le barre di combustibile all’estero. Una risposta ai dinieghi dei territori, con cui si rischia di triplicare l’attuale problema. L’ultima idea è quella, invece, di “ammodernare le strutture esistenti per stoccare le scorie nucleari”. E, dato che prima del 2039 non ci sarà alcun deposito, “ampliandole anche nell’ottica del rientro dall’estero dei rifiuti ad alta attività” ha detto, in audizione sul nucleare davanti alle Commissioni Ambiente ed Attività produttive della Camera.
Il governo Meloni quali iniziative intende adottare nel quadro degli obblighi dettati dall’Unione europea, per assicurare il rispetto delle tempistiche per l’individuazione del Deposito unico nazionale entro dicembre 2023, e per l’avvio della realizzazione del Deposito nazionale entro il 2025, garantendo contestualmente la completa bonifica e il ripristino ambientale di tutti i siti cosiddetti “temporanei”?
Mentre gli incompetenti fantocci locali del potere (per conto internazionale) mandano in onda le distrazioni di massa (il nucleare di ultima generazione), bisogna fare i conti con i problemi veri e reali.
Riferimenti:
Gianni Lannes, Italia USA e getta, Arianna editrice, Bologna, 2014.
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