
di Gianni Lannes
Recuperare il relitto era fondamentale per riuscire a stabilire le cause del naufragio. Eppure il Rita Evelin (appena 17 tonnellate e 200 chilogrammi di stazza lorda) di San Benedetto del Tronto dal 26 ottobre 2006 è ancora sott’acqua, al largo di Porto San Giorgio, ad appena 80 metri di profondità, nonostante lo sperpero di 800 mila euro (denaro pubblico) spacciato per recupero dal ministero della giustizia e dal governo italiano. Due pesi e due misure: un classico all’italiana. Dieci mesi dopo, mentre lo yacth dei super ricchi inglesi, Bayesian (565 tonnellate di dislocamento), oggi 20 giugno 2025 è stato riportato a galla da una profondità di 49 metri, tanti pescherecci italiani (ad esempio: Francesco Padre, Angelo Padre, eccetera) giacciono in fondo al mare e spesso racchiudono i corpi dei malcapitati pescatori, assassinati dai giochi di guerra alleati in tempo di pace, a partire dall’8 gennaio 1950, quando esplose in Adriatico il motopesca Anna di Fano: i corpi dei 9 lavoratori del mare non sono mai stati ritrovati, ad eccezione di uno.
E ancora una storia incredibile. Nella notte tra il 12 e il 13 maggio 2020, si sono perse le tracce del motopesca “Nuova Iside” e del suo equipaggio composto dal comandante Vito Lo Iacono di 27 anni, da Matteo Lo Iacono di 54 anni e da Giuseppe Lo Iacono di 34 anni. L’ultimo contatto avuto dall’imbarcazione sarebbe stato nello specchio di mare a dieci miglia da San Vito Lo Capo (Trapani), alle ore 22:33 del 12 maggio 2020. L’incolpevole mare, ad oggi, ha restituito solo i corpi di Giuseppe Lo Iacono e del capitano Matteo Lo Iacono, rispettivamente il 14 e il 16 maggio 2020.
Martedì 12 maggio 2020 intorno alle 03.30, il peschereccio «Nuova Iside» usciva con il suo equipaggio, composto da tre pescatori particolarmente esperti (Vito Lo Iacono, Matteo Lo Iacono, Giuseppe Lo Iacono), dal porto di Cinisi-Terrasini (PA) per una battuta di pesca con il palangaro. La mattina del 12 maggio, dopo aver salpato il palangaro, con scarsi risultati, i membri dell’equipaggio, avendo ancora esca a disposizione, decidevano di continuare la pesca ed avvisavano le famiglie che sarebbero ritornati il giorno dopo verso ora di pranzo; intorno alle ore 18 di martedì 12 maggio uno dei membri dell’equipaggio (Vito Lo Iacono) riferiva alla fidanzata della decisione di non rientrare e proseguire la pesca; analoghe comunicazioni venivano rese dagli altri membri dell’equipaggio ad altri familiari. Alle ore 22:33 del 12 maggio la moglie di uno dei membri dell’equipaggio (Giuseppe Lo Iacono) inviava al marito un messaggio che veniva ricevuto ma non letto; alle 00:10 del 13 maggio la medesima inviava un ulteriore messaggio al marito che questa volta non veniva ricevuto dal telefono perché non connesso alla rete; analogamente, poco prima, e cioè alle 23:52 del 12 maggio, la fidanzata di un altro membro dell’equipaggio (Vito Lo Iacono) inviava a quest’ultimo un messaggio su Whatsapp che però non è mai stato ricevuto dal destinatario; il blue box, cioè lo strumento che segnala la posizione della barca ogni due ore, alle 23:45 non inviava il consueto segnale. Non vedendo rientrare il peschereccio e non avendo più notizie dai membri dell’equipaggio, i familiari di quest’ultimo hanno lanciato l’allarme; nei giorni successivi sono stati recuperati nelle acque a nord della costa palermitana i corpi senza vita due dei tre marinai del «Nuova Iside» (Giuseppe e Matteo Lo Iacono), mentre non vi è ancora traccia di Vito Lo Iacono, l’ultimo dei tre componenti dell’equipaggio.
Si presume che l’affondamento del peschereccio possa essere avvenuto nel lasso di tempo compreso fra le ore 22:33 (ultimo messaggio ricevuto dal telefonino di Giuseppe Lo Iacono) e le 23:45 (mancato invio del nuovo segnale dalla blue box), pur in presenza di condizioni meteo e di mare ottimali, o comunque difficilmente pregiudizievoli per un peschereccio di lunghezza pari a 16 metri;
A suffragio dell’ipotesi dello speronamento vi sono il ritrovamento del palangaro perfettamente integro, dell’àncora di bordo galleggiante, del tendalino dell’imbarcazione e di un galleggiante, avvenuto nella mattina di mercoledì 13 maggio 2020 al largo di San Vito Lo Capo, in costanza di condizioni meteorologiche e di mare serene, nonché il fatto che nel tratto di mare dove si trovava il peschereccio transitano regolarmente diverse imbarcazioni di grossa stazza (mercantili, petroliere, navi da guerra, sottomarini e sommergibili).
La Marina militare era già intervenuta per restringere l’area di ricerca nei giorni scorsi con la fregata “Carabiniere”, e grazie al sonar ad alta frequenza “Panoramic Echo Sounder”, con capacità di discriminazione di oggetti di medie dimensioni sino a 2.000 metri di profondità, aveva individuato alcuni contatti subacquei, ritenuti da investigare ulteriormente.
Il 31 maggio sempre la Marina militare ha iniziato le attività di ricerca del relitto del motopesca “Nuova Iside” nelle acque a nord est di capo San Vito con il cacciamine “Numana”, del Comando delle forze di contromisure mine (MARICODRAG), e il Gruppo operativo subacquei (GOS) del Raggruppamento subacquei ed incursori (COMSUBIN), in grado di svolgere attività di localizzazione, identificazione, neutralizzazione di mine navali, residuati bellici, ordigni e, grazie alla sua versatilità per scopi dual use, reperti archeologici e oggetti di interesse depositati sul fondale;
Sulla rotta del peschereccio, comunque, c’era una petroliera, come si evince da un riscontro su “Marinetraffic” (sito che traccia gli spostamenti delle navi), analizzando i tragitti tra San Vito lo Capo e Ustica tra le ore 21 e 40 del 12 maggio e le ore 3 del 13 maggio, sulla rotta del peschereccio “Nuova Iside”, intorno alle ore 22 e 50, è stata registrata la presenza una petroliera.
La procura di Palermo ha aperto un’inchiesta – coordinata dall’aggiunto procuratore dottor Ennio Petrigni e dal sostituto procuratore dottor Vincenzo Amico – per fare chiarezza su quanto accaduto quella notte: l’ipotesi più accreditata al momento sembrerebbe essere quella di una collisione con la petroliera «Vulcanello» appartenente alla società Augustadue del gruppo Mednav che si trovava sulla stessa rotta. Le ipotesi di reato sono omicidio colposo, sommersione di nave e omesso soccorso; il relitto è stato ritrovato in un’area a circa 30 miglia a nord di Palermo, a quasi 1.400 metri di profondità, grazie all’impiego sinergico di mezzi sofisticati della Marina militare carabinieri – fra i quali un veicolo filoguidato del Comando subacquei e incursori – con il supporto nelle ricerche della Guardia costiera. Gli inquirenti hanno disposto il sequestro della scatola nera della nave cargo “Vulcanello” della società armatrice Augustadue, gruppo Mednav, utilizzata per il trasporto di carburante, che nelle ore del presunto naufragio avrebbe incrociato la stessa rotta della “Nuova Iside”; dall’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo, Ennio Petrigni, risultano iscritte due persone nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo. Precisamente due ufficiali di plancia, uno di nazionalità italiana e l’atro straniera, in servizio sulla petroliera “Vulcanello” posta sotto sequestro il 15 giugno 2020. Il processo è iniziato 4 anni fa, ma procede molto a rilento.
I familiari delle vittime del naufragio chiedono con grande forza che venga recuperato il relitto che a distanza di appena 5 anni dalla tragedia è insepolto a 1.400 metri di profondità, nel mare di San Vito Lo Capo dove all’interno, verosimilmente, è ancora intrappolato il corpo del giovanissimo capitano del peschereccio, l’unico ancora non ritrovato.
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