
17 chiamate ai soccorsi tre giorni prima di Natale. Christian Gualdi ha composto il numero dei soccorritori ben 17 volte, mentre stava morendo assiderato sul Gran Sasso, intrappolato a oltre 2700 metri d’altitudine, nel canalone dell’Inferno. La prima chiamata risale alle 14:52 del 22 dicembre 2024; l’ultima intorno alle 21. Vicino a lui, c’era l’amico Luca Perazzini. Entrambi alpinisti esperti, originari di Sant’Arcangelo di Romagna. Nessuna di quelle chiamate disperate è valsa a mantenerli in vita. Quel giorno c’erano le condizioni sufficienti per consentire il libero accesso in quota, anche a fronte dell’allerta meteo diramata dalla Protezione Civile?
Adesso tali aspetti cruciali potrebbero entrare nell’indagine giudiziaria avviata dalla Procura di Teramo, contro ignoti, con l’accusa di omicidio colposo.
I corpi dei due alpinisti sono stati recuperati ormai privi di vita, soltanto cinque giorni più tardi. Il responso dell’autopsia è morte per ipotermia.
Dopo l’esposto in cui il fratello di Luca Perazzini ha sollevato dubbi come macigni sull’efficacia e la tempistica degli interventi di soccorso, anche il fratello di Christian Gualdi si è associato alla denuncia con una recente integrazione che lancia nuovi interrogativi.
Una delle questioni nodali riguarda l’attivazione dei mezzi aerei a disposizione in quei giorni. Il riferimento implicito è agli elicotteri HH-101 “Caesar” dell’Aeronautica Militare, di stanza a Cervia. Si tratta di velivoli in grado di decollare in qualsiasi momento, anche in condizioni metereologiche avverse e di notte, per operazioni di ricerca e soccorso in ambiente ostile.
Le famiglie non si danno pace e vogliono sapere se i mezzi adeguati a quelle condizioni siano stati attivati tempestivamente e correttamente. Il diritto alla vita e alla verità va garantito sempre. Ma è stato fatto davvero tutto il possibile per salvarli?
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