
di Gianni Lannes
La verità? Un’altra storia. 27 giugno 1980: l’ammaraggio del Dc 9 Itavia. Il 21 gennaio 1992 Alfredo Galasso, l’insigne avvocato dei familiari delle vittime di Ustica, ha dichiarato a Radio Radicale: «Le indagini in corso dimostrano che il Dc-9 Itavia è arrivato integro in mare». Ha aggiunto che «i soccorsi sono stati probabilmente ritardati». E infine ha affermato: «Ci troviamo alle soglie dell’omicidio volontario».
Ecco la testimonianza di Gildo Cosmai, un ex sottufficiale della Marina Militare italiana, imbarcato sulla nave della Marina Militare Andrea Doria, a proposito del recupero in mare del giovane carabiniere Giuseppe Cammarata:
«In tanti abbiamo visto un ragazzo tirato fuori dall’acqua praticamente intatto; non era gonfio d’acqua come gli altri, non era sfigurato dalla lunga permanenza in acqua. Aveva i jeans ed una camicia dalle maniche lunghe. Quella destra era arrotolata, quella sinistra era strappata ed era legata sopra il ginocchio destro, quasi come un laccio emostatico. Il ragazzo era senza il piede destro: quella manica di camicia forse era servita a fermare un’emorragia».
A Roma, il 20 marzo 1987 viene assassinato in uno strano “agguato terroristico” il generale dell’Aeronautica militare Licio Giorgieri. Uno sparatore in sella a una moto guidata da un complice, lo fredda a bordo della sua auto. All’epoca Giorgieri era il responsabile degli armamenti dell’Arma azzurra e stava lavorando al progetto delle guerre stellari, imposto attraverso la NATO dal presidente Reagan. Sulla carta è questo il motivo pubblicizzato dalla sedicenti unità combattenti comuniste (ucc) con un volantino di rivendicazione dell’omicidio. Però, fin dalle prime battute, il delitto Giorgieri appare un omicidio terrorista parecchio anomalo. Infatti, era quello un periodo in cui i terroristi nostrani telecomandati dall’estero, avevano ormai da tempo deposto le armi. Anche la moglie dell’ufficiale, fin da subito ha dichiarato di non credere alla matrice dell’omicidio propinata dalle autorità. La vicenda acquista contorni ancora più sospetti, quando si apprende che a far sgominare la banda degli assassini eterodiretti del generale, al quale solo pochi giorni prima era stata negata la scorta di polizia, è un giovane terrorista che lavora come archivista al ministero dell’Interno. In seguito, non ha fatto clamore la decisione di un giudice di scarcerare appena tre anni dopo, gli assassini di Giorgieri sia pure condannati a pene pesantissime.
Singolare coincidenza. All’epoca della strage di Ustica, Licio Giorgieri era inserito nei vertici del Rai, il Registro aeronautico italiano, l’ente che per primo fu investito dalla tragedia. E responsabile del Rai all’epoca era il generale Saverio Rana. Fu proprio Rana, pochi giorni dopo la strage, che riferì al ministro dei Trasporti Rino Formica, la presenza di un caccia accanto al Dc-9 Itavia. Rana, morto d’infarto, aveva a disposizione tre fotocopie di tracciati radar ricevute proprio da Giorgeri. Carriere in riscossione? Dell’omicidio Giorgieri si è occupato in passato anche il giudice Giorgio Santacroce (figlio di un magistrato militare), denunciato dalle parti civili al Csm per la palese inerzia ed inconcludenza delle indagini sul disastro di Ustica, allontanato dall’incarico di pubblico ministero, ma in seguito comunque promosso alla carica di presidente di una sezione della Cassazione.

Nel 1991 furono ritrovati sul fondale a 3.500 metri di profondità, i resti di un missile tra i rottami del DC9 Itavia. Il 21 gennaio del 2000 il peschereccio Bartolomeo di Gaeta tira a galla la coda di un aereo a 150 metri di profondità. Bianco e azzurro i colori dominanti. Una cosa è sicura la sigla 157303, ben visibile sulla fusoliera. A stretto giro d’ambasciata viene fatto sapere attraverso il Naval Safety Center che il numero corrisponde a un Phantom precipitato il 23 ottobre 1974. La ricostruzione ufficiale Usa, recita che due caccia decollati per una missione dalla portaerei Saratoga rimasero senza carburante. Il tempo pessimo impedì loro di forare le nuvole ed atterrare a Capodichino. Inoltre, la nebbia impedì all’aereo cisterna di rifornirli. Persa ogni speranza, al momento del “flame out”, la prua dei due caccia era orientata verso il mare. I piloti, quattro in tutto, si lanciarono e furono salvati da un elicottero.
Questo caccia multiruolo della McDonnels Douglas è realmente precipitato nel 1974?Ad una prima verifica salta fuori un fatto bizzarro. Il 24 ottobre 1974, ovvero il giorno successivo al presunto incidente, è Il Mattino di Napoli a dare notizia di un caccia precipitato. Si tratta proprio di un Phantom, decollato precisamente dalla Saratoga. Però, si è schiantato al suolo a Campobasso, in mezzo alle montagne del Molise. Tanto è vero che il pilota è stato ricoverato in condizioni gravissime al locale ospedale, mentre il secondo, un sergente maggiore, è stato subito prelevato da un elicottero della Navy. Una versione che non collima affatto con la versione ufficiale. Oltretutto, nell’archivio del nosocomio molisano è spuntata la cartella clinica del pilota nordamericano. Che c’entra la strage di Ustica? C’entra eccome. Infatti, la sera del 27 giugno 1980, i carabinieri di Pozzuoli telefonano al radar di Licola (lo dicono gli stessi radaristi militari parlando tra loro) informandoli di aver visto un aereo sfrecciare a velocità elevatissima a bassa quota sulla zona di mare antistante. Nel radar di Poggio Ballone tre militari parlano a lungo (nelle registrazioni acquisite dai magistrati) di un Phantom decollato da una portaerei. Tracce della conversazione rimarranno registrate e giungeranno fino al giudice istruttore Rosario Priore. «Se è un Phantom chi lo prende?», si chiedono i militari dell’Arma azzurra italiana. Terzo elemento, una serie di conversazioni registrate in partenza dal radar di Ciampino. I controllori di volo che stavano contattando l’ambasciata Usa dopo l’incidente, a un certo punto si interrogano sull’utilità di chiamare addirittura Sigonella. C’è un punto nel dialogo in cui uno degli ufficiali sbotta: «Aò, ma quando cade un Phantom, loro che fanno?».
Allora, un velivolo civile con 81 persone a bordo (tra cui due neonati) può “cadere” nello spazio aereo sottoposto al controllo dell’Aeronautica militare italiana, e contemporaneamente alla tutela del sistema integrato difesa aerea della Nato (Nadge), nell’ombrello di osservazione di due aerei radar (di cui un Awacs della Nato), praticamente sulla verticale della sesta flotta United States of America, davanti ad una flotta della NATO in esercitazione segreta (compresa nave Vittorio Veneto a cui viene ordinato immediatamente di far rotta verso la Spezia e di non prestare soccorso in mare), senza che nessuna autorità militare e gerarchia militare sia in grado di spiegare perché? Possono gli alleati francesi e nordamericani impiegare 35 anni per rispondere a singhiozzo o affatto sulle rogatorie dei magistrati tricolori, che chiedono conto di mezzi navali e aerei intorno alle nostre coste, di serbatoi di caccia ritrovati tra i resti del Dc-9, di foto satellitari che quella notte dormono o non vedono, di telefonate tra i centri dell’Aeronautica militare nostrana e le loro sedi diplomatiche nell’immediatezza e nelle settimane successive alla strage, di carteggi segreti con migliaia di pagine intercorsi tra ambasciate, governi e servizi di sicurezza?
Quella sera sul Tirreno sfrecciavano almeno due dozzine di caccia militari a velocità Mach 2 (attesta nel 1997 l’Alleanza atlantica), controllabili da postazioni radar italiane, francesi e Nato.
Riferimenti:
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/318020.pdf

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